Buddhisti o non buddhisti?

Dzongsar Jamyang Khyentse Rinpoche

Buddhisti o non buddhisti?

Dzongsar Jamyang Khyentse Rinpoche

Una volta ero seduto in aereo, sulla poltrona centrale della fila intermedia di un volo transatlantico, e il simpatico passeggero accanto a me fece un tentativo di mostrarsi gentile. Dalla mia testa rasata e dalla camicia color arancio-porpora dedusse che fossi buddhista.

Quando fu servito il pasto, l’uomo premurosamente si offrì di ordinare per me cibo vegetariano. Ritenendomi, giustamente, buddhista, si aspettava che non mangiassi carne. Fu l’inizio della nostra conversazione. Il volo era lungo e, per ingannare la noia, parlammo di buddhismo.

Con il tempo, mi sono reso conto che spesso la gente associa il buddhismo e i buddhisti alla pace, alla meditazione e alla non violenza. Molti in realtà sembrano pensare che, per fare un buddhista, bastino tuniche arancio-porpora o color zafferano e un sorriso serafico.

Da buddhista convinto quale sono, dovrei essere fiero di una simile reputazione, soprattutto per l’aspetto non violento, così raro in quest’epoca di guerra e violenza, in particolare di quella religiosa.

In tutta la storia dell’umanità, la religione non ha mai smesso di generare efferatezze.

Ancora oggi le violenze associate ai fondamentalismi religiosi monopolizzano l’informazione. Eppure, posso dire con certezza che finora noi buddhisti non ci siamo disonorati.

Nel diffondere il nostro credo, la violenza non ha mai avuto alcun ruolo. Ciò nonostante, da buddhista preparato quale sono, mi sento leggermente contrariato quando il buddhismo è correlato soltanto alla pratica vegetariana, alla non violenza, alla pace e alla meditazione.

Il principe Siddharta, che rinunciò a tutti gli agi e i lussi della vita di corte, sicuramente cercava qualcosa di più della passività e della vita nei boschi quando si mise in viaggio per raggiungere l’illuminazione. Molto semplice nelle sue linee essenziali, il buddhismo non può essere spiegato tanto facilmente. Rivela, infatti, una complessità, una ricchezza e una profondità che appaiono quasi insondabili. Intrinsecamente non religioso e non teistico, il buddhismo richiede un’esposizione in cui è difficile non sembrare speculativi e religiosi.

Diffusosi in molte parti del mondo, ha via via acquisito caratteristiche culturali che complicano ancor più il tentativo di interpretazione. Decorazioni squisitamente teistiche quali incenso, campanelle e copricapo multicolori attraggono l’attenzione della gente, e nel contempo costituiscono un inconveniente.

Si finisce con il pensare che il buddhismo è tutto lì e si è distolti dalla sua essenza.

A volte per la frustrazione originata dalla sensazione che l’insegnamento di Siddharta non si sia sufficientemente radicato, a volte per la mia stessa ambizione, mi trastullo con l’idea di riformare il buddhismo, di renderlo più semplice, più rigoroso. È fuorviante e illusorio immaginare (come talvolta mi capita) che sia possibile semplificare il buddhismo riducendolo a pratiche ben definite e prestabilite, come il fatto di meditare tre volte al giorno, aderire a un certo modello di abbigliamento e sostenere convinzioni ideologiche come quella che il mondo intero deve essere convertito al buddhismo. Se grazie a queste pratiche fossimo in grado di garantire risultati immediati e tangibili, credo che al mondo i buddhisti sarebbero assai più numerosi. Quando però mi riscuoto da queste fantasie (che peraltro faccio raramente), ragiono a mente lucida: un mondo di persone che si autodefiniscano buddhiste non sarebbe necessariamente un mondo migliore.

Molti credono a torto che Buddha sia il “Dio” del Buddhismo

Perfino in paesi tradizionalmente buddhisti come la Corea, il Giappone e il Bhutan, tale approccio spiccatamente teistico al Buddha e al buddhismo ha i suoi adepti. Per questo motivo, nel libro ci serviremo del nome Siddharta e di Buddha in modo intercambiabile, perché la gente ricordi che Siddharta era solo un uomo e che quest’uomo è diventato Buddha.

È comprensibile che alcuni credano che i buddhisti siano i seguaci dell’uomo fisico chiamato Buddha. Lo stesso Buddha tuttavia ha sottolineato che non dobbiamo venerare una persona, bensì la saggezza che costei va insegnando. Inoltre, si dà per scontato che la reincarnazione e il karma siano i concetti fondamentali del buddhismo. E persistono molte altre convinzioni errate, tutte piuttosto grossolane.

Per esempio, il buddhismo tibetano è accostato al lamaismo e lo zen in certi casi non è neppure considerato buddhismo. Le persone un po’ più informate, ma pur sempre in errore, si servono di parole come vuoto o nirvana senza comprenderne appieno il significato. In una conversazione come quella con il mio vicino sull’aereo, può darsi che l’interlocutore non buddhista incidentalmente chieda: “Che cosa esattamente fa sì che un buddhista sia tale?”.

È la domanda più difficile cui rispondere.

Se la persona in questione è animata da un interesse autentico, una risposta esauriente non è adatta alla conversazione poco impegnativa che ravviva una cena e le generalizzazioni generano spesso fraintendimenti. Immaginate di dare la risposta vera, quella che si rifà ai fondamenti esatti di una tradizione che risale a duemilacinquecento anni fa.

Si è buddhisti quando si accettano le seguenti quattro verità: Tutte le cose composite sono impermanenti. Tutte le emozioni sono dolore. Tutte le cose sono prive di esistenza intrinseca. Il nirvana trascende ogni concetto.

Queste quattro affermazioni, che furono pronunciate dal Buddha in persona, sono note come “i quattro sigilli”. Tradizionalmente, per sigillo si intende una sorta di marchio che conferma l’autenticità. Per amor di semplicità e di scioltezza, in questo testo le quattro affermazioni saranno chiamate indifferentemente sigilli e “verità”, senza confonderle con le quattro nobili verità del buddhismo che si riferiscono esclusivamente ai diversi aspetti della sofferenza.

È noto che i quattro sigilli abbracciano il buddhismo nel suo complesso, eppure la gente non desidera affatto sentirne parlare. Senza spiegazioni più approfondite, servono solo a scoraggiare gli animi e, in molti casi, non riescono a suscitare un più vivo interesse. Cambia il soggetto della conversazione e tutto finisce lì.

Il messaggio dei quattro sigilli deve essere inteso letteralmente, non a livello metaforico o mistico – e deve essere preso sul serio.

I sigilli non sono tuttavia editti né comandamenti. Con un po’ di riflessione, ci si accorge che non hanno nulla di moralistico o di rituale, né alludono a comportamenti buoni o cattivi. Sono verità secolari basate sulla saggezza, e la saggezza è l’interesse primario di un buddhista. La morale e l’etica passano in secondo piano. Qualche aspirata di sigaretta e un po’ di frivolezza non impediscono di diventare buddhisti, anche se non significa che abbiamo il permesso di essere sregolati o immorali.

In senso lato, la saggezza deriva da una mente che possiede quel che il buddhista definisce una “giusta visione”, per quanto non ci sia affatto bisogno di considerarsi buddhisti per avere una visione giusta. In definitiva è questa visione che determina le nostre motivazioni e le nostre azioni. È il modo di vedere che ci guida lungo il sentiero del buddhismo. Se, oltre ai quattro sigilli, siamo in grado di adottare tutto un insieme di comportamenti idonei, diventiamo buddhisti migliori.

Quali sono invece le condizioni per le quali non si è buddhisti? Secondo me, non siete buddhisti se:

  • non siete in grado di accettare che tutte le cose composite o fabbricate sono transitorie, se credete che esiste una sostanza o un concetto fondamentale dotato di permanenza, allora non siete buddhisti.
  • siete incapaci di accettare che tutte le emozioni sono dolore, se credete che esistano emozioni autenticamente piacevoli, allora non siete buddhisti.
  • non potete ammettere che tutti i fenomeni sono illusori e insignificanti, se pensate che alcune cose esistano intrinsecamente, allora non siete buddhisti.
  • infine, pensate che l’illuminazione esiste nell’ambito del tempo, dello spazio e del potere, allora non siete buddhisti.

Che cosa fa di voi un buddhista?

Forse non siete nati in un paese buddhista o in una famiglia buddhista, non indossate la tunica, non vi rasate il capo, mangiate carne e siete dei fan di Eminem e di Paris Hilton. Ciò non significa che non possiate essere buddhisti.

Per essere buddhista, bisogna accettare che:

Non è necessario che vi preoccupiate costantemente di queste quattro verità, basta che siano presenti nella vostra mente. Così come non andate in giro pensando continuamente al vostro nome, ma se qualcuno ve lo chiede lo ricordate all’istante. Non c’è alcun dubbio.

Anche a prescindere dagli insegnamenti di Buddha, anche senza aver mai sentito il nome Shakyamuni Buddha, chiunque accetti i quattro sigilli può considerarsi in cammino sul suo stesso sentiero. Mentre provavo a spiegare queste cose all’uomo seduto accanto a me in aereo, cominciai a sentire un ronfare discreto e mi accorsi che si era addormentato. La nostra conversazione non era riuscita a risparmiargli la noia.

Mi piace generalizzare e, leggendo questo libro, troverete moltissime generalizzazioni. Mi giustifico pensando che oltre alle generalizzazioni noi esseri umani non abbiamo molti altri strumenti di comunicazione. Di per sé, questa è già una generalizzazione.

L’obiettivo di queste pagine non è di convincere i lettori a seguire Shakyamuni Buddha, a diventare buddhisti e a praticare il dharma. Ho intenzionalmente evitato di citare qualsiasi tecnica di meditazione, pratica o mantra.

Il mio scopo principale è di sottolineare l’aspetto incomparabile, unico del buddhismo, che lo differenzia dalle altre concezioni. Cosa disse dunque quel principe indiano per guadagnarsi rispetto e ammirazione, persino da parte di scienziati moderni pervasi da scetticismo come Albert Einstein? Cosa disse per indurre migliaia di pellegrini a prostrarsi per tutta la durata del tragitto dal Tibet a Bodh Gaya?

Che cosa distingue il buddhismo dalle altre religioni?

Io credo che la differenza essenziale sia contenuta nei quattro sigilli e ho tentato di esporre questi difficili concetti in un linguaggio il più semplice possibile. Il vero scopo di Siddharta era di giungere alla radice del problema. Il buddhismo non ha vincoli culturali: non riserva i suoi benefici a una società data e non trova spazio nei governi e nella politica. Siddharta non era interessato ai trattati accademici e a teorie scientificamente dimostrabili: non si curava che la Terra fosse piatta o rotonda. Egli mirava a una realtà di tutt’altro tipo: voleva arrivare al nocciolo della sofferenza.

Una cosa, spero di chiarire: i suoi insegnamenti non costituiscono una grandiosa filosofia intellettuale, che è possibile leggere e poi mettere da parte, ma rappresentano una concezione logica e funzionale che chiunque può mettere in pratica. A questo scopo ho cercato di servirmi di esempi tratti dai molteplici aspetti delle svariate condizioni di vita – dall’infatuazione romantica alla formazione della civiltà come la conosciamo. Anche se questi esempi sono diversi da quelli utilizzati da Siddharta, il messaggio da lui espresso rimane adeguato al mondo di oggi.

Siddharta, inoltre, ha raccomandato di non dare per scontate le sue parole senza analizzarle. Indubbiamente, anche una persona comune come me deve essere sottoposta a esame e io vi invito a soppesare con attenzione

Estratto dal libro “Sei sicuro di non essere buddhista?”, di Dzongsar Jamyang Khyentse Rinpoce, pubblicato in Italia da Feltrinelli Editore.

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