Siamo qui per condividere i nostri pensieri su ciò che il Buddhismo può offrire nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale.
Ma per fare questo, abbiamo bisogno di stabilire un linguaggio comune, un modo di comunicare tra il mondo della scienza e quello buddhista – se possibile, s’intende. Se non concordiamo almeno qualche definizione di base, allora questa conferenza sarà solo un succedersi di discorsi, uno dopo l’altro – che finiranno con l’intendere, significare e comprendere cose del tutto diverse, per non parlare delle risposte al tipo di questioni e domande che questa conferenza ha posto. Partirò subito con tre esempi:
- Scienza e Buddhismo possono comunicare? – “Vita”, “mente”, “paradosso”
La brochure della conferenza chiede: “La vita è una questione di ‘elaborazione dati’? Ma cosa intendiamo con la parola “vita”? L’Oxford English Dictionary definisce la vita come l’attività “che precede la morte”. Ma il Buddhismo non esclude la continuità della coscienza dopo la morte. Quindi, da buddhisti, dovremmo chiederci:
- L’intelligenza artificiale sarà soggetta a continuità?
- Sarà soggetta all’illusione del tempo?
- Per dirla schiettamente – L’intelligenza artificiale si reincarnerà?
Peraltro, cosa intendiamo con “intelligenza”? Se la mente umana non è nient’altro che attività del cervello e funzioni biologiche, non c’è un terreno comune tra scienza e buddhismo, perché per i buddhisti, la mente è qualcosa di completamente diverso: è ciò che conosce, prende abitudini, soffre di speranza e di paura e diventa così afflitta e fuori controllo da rimanere intrappolata nelle proprie illusioni. Ma è la stessa mente che possiamo anche addestrare, domare in modo da apprendere in che modo eliminare le proprie illusioni. Non è solo intellettuale ma anche intuitiva, e ha la capacità di essere sia altruistica che egoista.
Buddhismo e scienza possono avere nozioni completamente diverse di “conoscenza”. Pare in effetti che la scienza moderna si basi sul principio dell’ignoramus – parola latina che significa “non sappiamo”. Cioè non sappiamo tutto e tutto ciò che sappiamo potrà dimostrarsi errato man mano che la conoscenza aumenterà. Ammiro molto questa credenza.
Allo stesso tempo, noi buddhisti siamo giunti alla conclusione che certe verità – tipo che tutte le cose composte sono impermanenti, che tutte le emozioni sono sofferenza e che niente possiede una sua natura intrinseca – non possono essere confutate. Quindi, mentre per gli scienziati il punto di partenza è “non sappiamo”, il punto di partenza per i buddhisti è “abbiamo le nobili verità che non possono essere confutate”.
La brochure della conferenza si preoccupa riguardo alla nozione di ‘singolarità’ – cioè che la tecnologia avanzerà fino a sfuggire al nostro controllo e che gli umani saranno messi in scacco e sopravanzati dalle macchine I.A. Ma che c’è di nuovo? Abbiamo creato un Dio che è diventato qualcosa di incontrollabile, e la Rivoluzione Industriale che ha creato tutta la plastica che oggi sta strozzando i nostri oceani.
In effetti, è proprio per non dover più soffrire queste situazioni fuori controllo e per interrompere questa modalità cognitiva dualistica che soggiace a ogni sofferenza, che il Buddha ha dato i suoi insegnamenti sul non-sé, il sorgere dipendente e la shunyata, oggi più potenti e pertinenti di sempre.
Naturalmente il buddhismo non nega l’influenza del cervello – o di un dito o del meteo, se è per quello. Ma la vastità, la sottigliezza e la complessità della concezione buddhista riguardo a cosa è “mente” va molto oltre qualsiasi causa e condizione del genere. In effetti, potremmo dire che tutto il buddhismo non è altro che lo studio della mente.
Per i buddhisti, anche la ricerca più basica intorno a quel punto di riferimento che chiamiamo “conoscitore”, o cognitore, è un’abitudine di cui dobbiamo liberarci. Ora, se l’I.A. può trattare questa roba e favorire una realizzazione non-duale, allora l’I.A. è dharma e il buddhismo è obsoleto.
Ma dalle mie conoscenze molto limitate in materia di I.A., dubito che condivida questa visione della mente, perciò non vedo alcuna necessità di cambiare l’essenza del buddhismo. Non so se la rivoluzione dell’I.A. influenzerà le religioni monoteistiche come il cristianesimo e l’islam, ma sono piuttosto fiducioso sul fatto che il buddhismo non ha granché di cui preoccuparsi. In effetti, mi sembra che le quattro nobili verità sono diventate ancora più attuali e stringenti da cent’anni a questa parte, man mano che ci siamo sempre più alienati dal nostro vero essere.
Mi chiedo: può l’I.A. creare un mondo perfetto in cui non ci sentiamo più alienati e che superi anche questa inclinazione umana all’alienazione? Può avere a che fare con argomenti sottili come le nozioni di individualismo o diritti dell’individuo, tanto esaltati nelle democrazie occidentali di oggi, ma che sembrano proprio segnalare un certo gusto per l’alienazione?
Peraltro, mi chiedo se l’I.A. possieda la capacità di “credere” – si tratti di una credenza raffinata o di una fede cieca – che poi è la forza trainante della nostra cosiddetta “vita” o “felicità”.
A parte le differenze che hanno a che fare con il modo in cui definiamo concetti come “vita” e “mente”, ci sono altri significativi ostacoli nel dialogo tra scienza e buddhismo. Ad esempio, mentre la scienza sembra a disagio con i paradossi e cerca di risolverli, l’essenza del buddhismo apprezza profondamente la natura paradossale di tutto, per cui si trova perfettamente a suo agio in questo campo.
Quindi, nel momento in cui la mente addestrata di un buddhista vede una forma, idealmente vede anche la sua vacuità, liberandosi dalla speranza cieca, e nel momento in cui vede la natura vuota della realtà, vede anche le sue forme, liberandosi dalla paura.
Ecco perché noi buddhisti non giungiamo alla conclusione che fenomeni non apparenti come Dio, la reincarnazione o la fortuna non esistono. Né d’altronde possiamo confermare che esista effettivamente una testa sopra il mio collo o un pavimento sotto i miei piedi o un soffitto sopra la mia testa. Cioè, non confermiamo niente come veramente esistente o veramente non-esistente.
Ecco anche perché la gente Thai impara la verità della mancanza di ego – la non esistenza del sé – e allo stesso tempo non ha dubbi nell’eseguire atti meritori come visitare templi, offrire fiori o fare l’elemosina a qualche monaco mendicante.
Così, per i buddhisti, dolore e sofferenza sorgono quando forma e vacuità vengono separati, quando esistenza e non esistenza vengono separati, quando il mondo delle cose così come appaiono è separato dal mondo delle cose come sono veramente. Fondamentalmente, soffriamo quando non riusciamo ad apprezzare questi paradossi.
Quindi, forse, invece di chiedere cosa possa offrire il buddhismo nell’età dell’I.A., che può non essere nulla di diverso da ciò che offre da sempre, potremmo capovolgere la domanda e chiederci se l’I.A. ha da dire qualcosa di interessante riguardo ai punti fondamentali del buddhismo. Potrebbe non dover essere il buddhismo a conformarsi agli standard della scienza, così come spesso diamo per scontato; forse è giunto il momento, per gli scienziati, di cogliere le verità che il Buddha ha insegnato 2.600 anni fa.
Non so se risolveremo mai le differenze di definizioni e di visioni tra scienza e buddhismo, in modo sufficiente a creare un dialogo vero. Di fatto, non so nemmeno se un tale dialogo oggi sia più importante di quello che il buddhismo potrebbe avere con l’economia, le scienze politiche o la poesia; per quanto mi riguarda, non classificherei quest’ultima come meno importante o utile rispetto alle altre.
Ma sono certo che se non partiamo con il riconoscere e l’esplorare certe differenze basiche nelle definizioni e di visione, non saremo capaci di rispondere agli interrogativi che questa conferenza pone.
- Domande assurde?
Dando corda alla nostra immaginazione, per meglio cogliere queste diverse definizioni e visioni tra scienza e buddhismo, non dovremmo evitare domande che possono sembrare assurde:
Supponiamo, per esempio, che ho un robot per studente. Lui o lei è programmato per essere calmo, privo di rabbia, gelosia, emozioni. Potrei rimanerne piuttosto colpito e non prescrivere la meditazione di shamata ad uno studente del genere. Ma se sono un maestro appena decente, ciò che vorrei davvero per questo studente è che la smettesse di avere come obiettivo l’essere calmo e pacifico, o quello che induce la calma in qualcun altro. Dopo tutto, un seguace del Buddhadharma non è alla ricerca di una medaglia per essere la persona più calma o la persona che più di tutti riesce a indurre la calma, ma piuttosto uno che vuole scuotersi di dosso tutti questi riferimenti all’essere calmo, al diventare più calmo o all’essere sul sentiero della calma…
Non sono un esperto di I.A., e le mie informazioni molto limitate derivano da articoli o per “sentito dire”. Ad esempio mi hanno detto che tra cinquant’anni, sarò in grado di fare il download di me stesso su un computer, che a quel punto sarà capace di pensare, di parlare e di rispondere proprio come faccio io. Ma se quel dispositivo possiede tutti i modelli abituali come ansia, incertezza e insicurezza, allora diventerebbe soltanto un altro essere senziente oggetto di compassione e che ha bisogno dell’illuminazione. In quel caso, la sola differenza tra me e lui è che io sono nato dal ventre di mia madre e lui in un laboratorio con l’aiuto di qualche altro robot.
E riguardo al karma? È cattivo karma sfasciare il computer o non metterlo in carica? Se un computer potesse programmare sé stesso attraverso sistemi intelligenti di cicli di feedback, e potesse pensare e agire come una persona, avrebbe un karma positivo o negativo se salva o uccide qualcuno?
A prima vista, tali domande “buddhiste” possono sembrare assurde. Ma ricordate che Google ha già inventato sistemi intelligenti che hanno sviluppato un nuovo linguaggio di scambio che gli stessi inventori dei sistemi non riuscivano più a comprendere, costringendo Google a chiudere il progetto. Quindi gli esperti di I.A. e i decisori politici possono beneficiare delle conoscenze buddhiste riguardo alla natura della realtà prima di lasciare che i loro sistemi gestiscano l’economia, la salute e la difesa sulla base di comunicazioni interne che nessuno di noi riesce più a capire. In fondo, non è esagerato dire che si ignora il buddhismo a nostro rischio e pericolo!
A un livello più prosaico, preferirei una ragazza I.A. che dice e fa esattamente ciò che voglio e di cui ho bisogno? E se è così, voglio sapere se si tratta di un artefatto di una I.A. o no? È chiaro che molte domande interessanti per le persone che si occupano di I.A. hanno scarso interesse per i buddhisti, che apprezzano il fatto di dimorare nella realtà del sorgere dipendente e dell’incertezza umana.
In altre parole, mi pare che i proponenti dell’I.A. si vantano del fatto che i loro sistemi renderanno le cose molto più predicibili, ma se così fosse non ci sarà granché da divertirsi neanche nel nostro mondo umano ordinario. Dopo tutto, per quanto noi umani pensiamo di odiare l’incertezza, è l’incertezza che guida l’economia, i governi, il management e qualsiasi altra cosa che ci riguardi. Il profitto deriva dall’incertezza ed è questa impredicibilità che, a livello individuale, amiamo, romanticamente, in amore così come nelle relazioni.
Mi è stato anche detto che l’I.A. aumenterebbe la durata della nostra vita. Ma questo non cambia la saggezza buddhista della conoscenza che tutte le cose composte sono impermanenti. E mi è stato anche detto che le attrezzature mediche saranno più potenti nel diagnosticare le malattie, e questa è davvero una cosa eccellente. Ma, come ho detto, la verità dell’impermanenza rimane immutata, ed è esattamente in questa impermanenza, incertezza ed impredicibilità che troviamo la vita.
Quindi forse è tempo di chiedersi quale sia lo scopo dell’I.A. Se è quello di rendere le diagnosi mediche e le previsioni meteo più accurate e predicibili, certo è una cosa eccellente e va nella direzione di ciò che gli esseri umani hanno sempre tentato di fare.
Ma forse lo scopo dell’I.A. è quello di conquistare il tempo e lo spazio rendendo le cose permanenti e immutabili? Se l’I.A. può davvero fare cose del genere, allora forse il dharma, dopotutto, è obsoleto, perché andare oltre il tempo e lo spazio è ciò che noi buddhisti chiamiamo “nirvana”. Ma dubito che questa sia la motivazione dei creatori dell’I.A., in quanto esseri umani, semplicemente perché il fine di ogni progresso scientifico è quello di migliorare le nostre vite umane, che non ha niente a che fare con l’illuminazione.
- Tempi che cambiano – Più felici o no?
Ci eccitiamo così tanto per l’ultima scoperta tecnologica e se questa sarà “la salvezza o la condanna dell’umanità”, come dice la brochure della vostra conferenza, che ci dimentichiamo di quanto le rivoluzioni tecnologiche del passato abbiano incredibilmente cambiato le nostre vite.
La prima Rivoluzione Agricola, che trasformò le società umane da cacciatori ad agricoltori, accadde migliaia di anni prima del Buddha. Se da una parte risolse molti problemi legati alla sicurezza del cibo, dall’altra condusse a tutti i problemi politici, militari e commerciali di cui oggi siamo infestati.
Poi la Rivoluzione Industriale ci dette la radio, la televisione, le macchine, gli aeroplani e altre comodità che soltanto 150 anni fa erano inconcepibili, oltre ovviamente alla bomba atomica e al riscaldamento globale che possono distruggere il mondo. Se le temperature e i livelli del mare continueranno a salire, Bangkok sprofonderà sott’acqua nel giro di vent’anni e i nostri nipoti vedranno Londra allagata. Se l’I.A. potrà fermare tutto questo, sarebbe grandioso.
Ma tutti questi enormi cambiamenti nelle nostre vite e nei nostri stili di vita ci hanno reso più felici? Ottengo che quel che voglio in tempi sempre più rapidi. Ma quella velocità aumenta l’ansia perché ci vuole solo un secondo anziché un mese per ricevere una cattiva notizia. Se possiamo essere felici più velocemente siamo anche sconvolti più velocemente.
Dunque, con tutti questi cambiamenti, prima di eccitarci troppo con le nuove rivoluzioni digitali legate all’I.A., cerchiamo di riconoscere bene l’unica cosa che non è mai cambiata: la nostra angoscia di base, la nostra insicurezza, la nostra ignoranza e la ricerca di felicità.
E finché esiste tutto questo, ciò che il buddhismo ha da offrire è lo stesso di 2.600 anni fa. In effetti, dato che il buddhismo non è legato al tempo, allo spazio, alla cultura o alla geografia, può integrarsi, adattarsi e rivolgersi a qualsiasi bisogno di qualsiasi popolazione o epoca – inclusa la nostra dell’I.A.
12.000 anni fa, quando su questo pianeta abitavano meno di un milione di esseri umani, vivevano nella paura costante di essere mangiati. Ma fintanto che c’è speranza e paura – che si tratti di essere mangiati dalle tigri o di essere completamente dominati dalle I.A. fra 500 anni – ogni parola degli 84.000 insegnamenti del Buddha rimarrà attuale.
- Dunque cosa può offrire il buddhismo a questa età dell’I.A.?
Se accettiamo la realtà dell’ansia e della sofferenza, al di là del tempo e delle condizioni, l’unica cosa che il buddhismo può offrire è l’inseparabilità di saggezza e mezzi abili – la saggezza della corretta visione e l’abilità dei mezzi per riconoscere quella visione e mantenersi nella saggezza.
Qual è la visione corretta? Che mentre le cose appaiono, funzionano e sembrano continuare, non c’è una singola cosa che esista veramente. Tutto è come un sogno, un miraggio, un arcobaleno e quando non abbiamo questa visione, soffriamo. In effetti, questo è il motivo per cui il buddhismo considera la saggezza come il valore supremo della sua moralità o etica e il motivo per cui può rispondere alle sfide della tecnologia nella nostra epoca dell’I.A. con molta più efficacia dei sistemi basati sulla moralità.
Come buddhisti, ciò che vogliamo è sapere la verità e liberarci dalle abitudini che oscurano e impediscono la visione della verità. Se un dispositivo di I.A. può aiutarci a fare questo e fornire informazioni che ci aiutino a perseguire la verità, è fantastico e sarò felicissimo di usarlo.
Dunque, per esempio, se l’I.A. può uscirsene fuori con un dispositivo che traccia i canali neurologici attraverso i quali funzionano le abitudini, li trova e li cortocircuita, beh, quello sarà fantastico. Lo comprerò. Ma a meno che l’I.A. non possa trattare con l’angoscia fondamentale che ha afflitto l’esistenza umana fin da tempo immemore, che attualmente definisce e incorpora ciò che chiamiamo vita umana, allora ciò che il buddhismo può offrire non può cambiare molto nella sua essenza.
Il modo in cui i buddhisti possono offrire questa immutabile saggezza, invece, cambierà drammaticamente:
- Il buddhismo non vuole cambiare. Deve cambiare. Parecchio!
Dunque, da una parte l’I.A. non cambierà il buddhismo, la sua validità e il suo valore per il nostro mondo. Dall’altra parte, i buddhisti – specialmente i buddhisti tradizionali – dovranno cambiare enormemente. E se dobbiamo essere d’aiuto e importanti per le persone, il nostro mondo buddhista dovrà essere ben consapevole di questa differenza.
Dimenticate anche la rivoluzione dell’I.A.: cominciamo con il riconoscere che i buddhisti non sono stati bravi nel cambiare il modo in cui fanno le cose – nel portare il messaggio di Buddha alle persone nel giusto modo, nel tempo giusto, e nel posto giusto, in modo che queste possano comprendere e praticare.
Dal Giappone allo Sri Lanka alla Cina alla Tailandia alla Corea, i buddhisti sono rimasti così attaccati alle loro culture tradizionali che non hanno nulla a che fare con l’essenza del buddhismo, che stanno correndo il serio pericolo di diventare inutili per la gente del mondo moderno.
Peraltro, anche la nozione di cultura stessa deve cambiare. Nella nostra epoca globalizzata – con i jeans, la musica pop, Hollywood e Bollywood che penetrano ogni angolo del mondo – proprio i concetti di nazionalismo e di cultura nazionale devono scomparire.
Quindi, se come buddhisti vogliamo essere di una qualche utilità al nostro mondo e aiutare gli esseri sofferenti, dobbiamo far leva su noi stessi per perdere i nostri stessi legami culturali e trasmettere il messaggio di Buddha in un modo che sia pertinente e adatto al tempo, all’età, alle condizioni e alla gente a cui ci stiamo rivolgendo.
Ma nessuno di questi cambiamenti – inclusa l’I.A. – cambieranno il modo in cui funziona il buddhismo nella sua essenza. Fintantoché avremo ciò che i buddhisti chiamano mente – ma altri possono chiamare cervello o dati o qualsiasi etichetta vogliate usare – fintantoché questa mente ha le sue angosce, abitudini, conoscenze, ciò che le piace e ciò che non le piace ed è soggetta al tempo e fintantoché l’esistenza è sofferenza, il buddhismo sarà importante per l’età dell’I.A. così come lo era al tempo del Buddha.
Dunque il buddhismo diverrà obsoleto solo quando la dualità, l’ignoranza, l’angoscia, la speranza e la paura cesseranno di esistere – che, beninteso, è proprio lo scopo del buddhismo. Davvero, è proprio per questa ragione di base che i buddhisti non hanno mai pregato: “Possano tutti diventare buddhisti”. Noi diciamo soltanto: “Possano tutti diventare Buddha”.
Nota inviata all’VIII Simposio Mondiale di Giovani Buddhisti su “Buddhismo e Intelligenza Artificiale”, 25/7/2018, Chiang Rai, Tailandia.
Traduzione a cura di Francesco Cappellini