La tradizione del Nālandā

La tradizione del Nālandā

Le radici del Buddhismo tibetano vanno fatte risalire ai maestri del Nālandā, la grande università monastica che — insieme a molte altre — fu fondata in India nel periodo di massima espansione del Mahāyāna. In queste università monastiche studiarono brillanti eruditi e praticanti di tutte le scuole filosofiche. Anche se Nāgārjuna e il suo studente Āryadeva vissero in un’epoca antecedente, i loro insegnamenti divennero oggetto di studio e dibattito e diedero vita al lignaggio profondo di insegnamenti sulla natura ultima — che comprende le opere di Buddhapālita, Bhāvaviveka, Candrakīrti, Śāntideva, Śāntaraksita e Kamalaśīla — e al lignaggio vasto, che enfatizza le pratiche dei bodhisattva e al quale appartengono gli insegnamenti di Maitreya, Asanga, Vimuktisena e Haribhadra.

Gli insegnamenti di logica di Dignāga e Dharmakīrti, anch’essi risalenti al Nālandā, permisero ai buddhisti di confutare con il ragionamento le opinioni errate dei non buddhisti, così come lo studio del Vinaya — il codice della disciplina monastica — nell’esposizione di Gunaprabha e Śākyaprabha. A Vasubandhu e Sthiramati si deve invece l’elaborazione dell’Abhidharma.

Il Buddhadharma giunse per la prima volta in Tibet durante il regno di Songtsen Gampo (m. 649) grazie alle sue due mogli — Bhrkuti, una principessa nepalese, e Wencheng una principessa cinese — che portarono nella Terra delle Nevi alcune statue del Buddha; Bhrkuti portò con sé anche scritture della tradizione sanscrita e Wencheng il canone cinese. Il Buddhismo fiorì durante l’epoca di Trisong Detsen (r. 775-797) che ebbe la lungimiranza di invitare nel Paese il grande monaco, filosofo Mādhyamaka e logico del Nālandā Śāntaraksita.

Sebbene al suo arrivo in Tibet avesse già più di settant’anni, Śāntaraksita si assunse la responsabilità di stabilire il Vinaya e il sistema monastico; diede l’ordinazione a sette tibetani per verif icare se fossero in grado di osservare correttamente i precetti prātimoksa e solo successivamente, nel 779, fu fondato il monastero di Samye. Oltre a insegnare il Mādhyamaka, Śāntaraksita incoraggiò Trisong Detsen a far tradurre i testi buddhisti dal sanscrito al tibetano, in modo che la gente potesse studiare il Dharma nella propria lingua. Il sovrano invitò in Tibet anche il grande yogi tantrico Padmasambhava, che diede iniziazioni e insegnamenti tantrici e sottomise le interferenze alla diffusione del Dharma. Mi commuove sempre pensare alle difficoltà che questi maestri dovettero affrontare per portare il Buddhismo in Tibet e noi tutti dovremmo provare una profonda gratitudine nei loro riguardi.

All’inizio del IV secolo, quando molti testi buddhisti erano ormai stati tradotti, fu istituita una commissione di studiosi, t ibetani e indiani, che normalizzò l’utilizzo dei termini tecnici e compilò un glossario sanscrito-tibetano. Tuttavia, sotto il regno di Langdarma (r. 838-42) il Buddhismo divenne oggetto di persecuzioni e le istituzioni monastiche, depositarie della conoscenza, dello studio e della pratica, furono quasi totalmente smantellate. I monaci non erano più in grado di vivere insieme e la trasmissione del Dharma da maestro a studente fu interrotta, le scritture disperse e la pratica frammentata in gruppi distanti tra loro, alcuni dediti agli insegnamenti dei sūtra, altri del tantra. La gente era disorientata e non sapeva più come praticare i vari insegnamenti in modo unificato e libero da contraddizioni finché il re Yeshe Ö non invitò il grande saggio Atīśa (982-1054) per rimediare a questa difficile situazione. Arrivato nel 1042, Atīśa fece tutto il possibile per correggere l’idea errata che gli insegnamenti del sūtra e del tantra fossero tra loro contraddittori. Compose la Lampada sul sentiero (Bodhipathāpradīpa), dimostrando come fosse possibile praticare sūtra e tantra in modo sistematico e non antitetico. Grazie a lui i tibetani compresero che la disciplina monastica del Vinaya, gli ideali del bodhisattva del Veicolo della Perfezione e le pratiche del Vajrayāna potevano essere praticate in modo complementare. I monasteri furono ricostruiti e il Dharma fiorì nuovamente in Tibet.

Gli insegnamenti buddhisti antecedenti Atīśa divennero noti come quelli della scuola Nyingma, o Vecchia Traduzione; i nuovi lignaggi che arrivarono nel Paese a partire dall’XI secolo furono chiamati scuole della Nuova Traduzione e lentamente diedero vita alle tradizioni Kadam (che più tardi si evolse in Gelug), Kagyü e Sakya. Tutte e quattro queste tradizioni risalgono al Nālandā: il lignaggio Nyingma deriva sia da Śāntaraksita sia da Padmasambhava; la tradizione Kagyü da Nāropa, uno yogi e studioso del Nālandā il cui lignaggio fu introdotto in Tibet dal grande traduttore Marpa. La tradizione Sakya arrivò in Tibet attraverso lo yogi Virūpa, anch’egli studioso del Nālandā appartenente alla scuola Cittamātra. Ebbe molte esperienze mistiche, eppure fu espulso dall’università monastica indiana: si racconta che una sera venne sorpreso con un gruppo di praticanti tantriche — che in realtà erano le sedici dākinī (praticanti tantriche femminili altamente realizzate) del tantra Hevajra — e accusato di aver trasgredito le regole monastiche. Fu così che il monaco Dharmapāla divenne lo yogi Virūpa.

Atīśa proveniva dal monastero di Vikramaśīla, in India, ma è considerato comunque parte della tradizione Nālandā perché il curriculum nei due monasteri era lo stesso. Tutte e quattro le tradizioni tibetane presentano in modo simile gli stadi della pratica del Veicolo della Perfezione, come dimostrano i principali trattati tibetani su questo soggetto. Nella t radizione Nyingma, la Mente in Pace di Longchenpa (1308-64) e il suo commentario Grande Carro hanno ampie similitudini con la Lampada sul sentiero di Atīśa. Il maestro Nyingma Dza Patrul Rinpoce (1808-87) scrisse le Parole del mio perfetto maestro; il maestro Kagyü Gampopa (1079-1153) scrisse l’Ornamento della preziosa liberazione; il maestro Sakya Pandita (1182-1251) scrisse Chiarire l’intenzione del saggio e il maestro Gelug Tsongkhapa (1357-1419) compose il Grande trattato sugli stadi del sentiero.40 La tradizione del dibattito nei vari rami del Buddhismo tibetano è stata molto ricca. Alcuni ritengono che gli scritti di Tsongkhapa sulla vacuità siano una sua creazione, mentre in realtà sono saldamente radicati nei testi di Nāgārjuna, che è il suo riferimento principale per ogni argomento importante.

Ho trovato alcune spiegazioni leggermente diverse tra i maestri Sakya, Kagyü e Nyingma, ma la differenza non è poi così rilevante, la principale tra le tradizioni tibetane Gelug, Sakya, Nyingma e Kagyü è la divinità su cui fanno affidamento nella pratica tantrica. I Nyingma si affidano principalmente a Vajrakīlaya, i Sakya a Hevajra, i Kagyü a Cakrasamvara, i Gelug a Guhyasamāja e i Jonang a Kālacakra. Le rispettive spiegazioni degli insegnamenti preliminari alla pratica tantrica sono molto simili e si basano sul lignaggio di Maitreya e Asanga per i metodi per coltivare l’amore, la compassione, la bodhicitta e le sei perfezioni. Le dissertazioni sulla vacuità hanno origine tutte dalle opere di Nāgārjuna e dei suoi seguaci.

Da grande studioso e logico, Śāntaraksita introdusse i suoi studenti all’utilizzo del ragionamento e della logica per esaminare gli insegnamenti e da allora i tibetani si sono sempre impegnati in uno studio rigoroso e nel dibattito, oltre che nella meditazione. Con gli studiosi-praticanti tibetani che studiano, contemplano e meditano le parole del Buddha e i grandi trattati e commentari indiani, il Tibet è arrivato a detenere la tradizione Nālandā nella sua interezza. Ho due motivi per affermare che il Buddhismo t ibetano è una tradizione Nālandā: in primo luogo, perché dimostra che non è il lamaismo, un termine con cui i primi visitatori occidentali del Tibet chiamavano la nostra forma di Buddhismo. Il lamaismo implica che gli insegnamenti siano stati ideati da lama che fingevano di essere il Buddha e che le persone li adoravano come divinità. È un termine che ha creato molti malintesi. In secondo luogo, molti tibetani non conoscono le origini dei propri insegnamenti e delle proprie pratiche e seguono semplicemente il proprio lama o i testi scritti dai maestri del proprio monastero. Mancano di una conoscenza più completa e di una prospettiva più ampia.

Al Nālandā, oltre ai vari sistemi filosofici buddhisti si studiavano anche quelli non buddhisti e questo permise lo sviluppo di un pensiero critico originale e l’acquisizione di una vera conoscenza. Leggere un solo testo o imparare un solo sistema filosofico non porta a grandi risultati. Avendo studiato molti testi e impegnandosi nella meditazione, gli insegnanti più eccellenti sono in grado di dare spiegazioni esaurienti. A causa del contesto sociale in cui fiorirono il Nālandā e le altre grandi università monastiche indiane, gli studiosi si concentrarono soprattutto sulla confutazione delle visioni errate non buddhiste. In Tibet, invece, una volta che la stragrande maggioranza dei tibetani divenne buddhista, gli studiosi tibetani non dovettero affrontare quella questione. I saggi indiani scrissero testi che attraverso il ragionamento confutavano le opinioni errate, Atīśa invece enfatizzò l’integrazione delle pratiche buddhiste nella vita quotidiana.

Oggi data l’eterogeneità dei praticanti vanno egualmente enfat izzati sia il ragionamento che permette di confutare le opinioni errate sia le pratiche per addestrare la mente. A volte la gente pensa — sbagliando — che il Buddhismo tibetano, specialmente il Vajrayāna, sia una pratica a sé stante, separata dal resto del Buddhadharma. Quando per la prima volta, molti anni fa, visitai la Thailandia alcuni erano convinti che il Buddhismo tibetano fosse una religione a parte. Tuttavia, dopo aver discusso del Vinaya, dell’Abhidharma e di argomenti come le quattro verità degli ārya, i trentasette fattori del risveglio e i quattro incommensurabili (amore, compassione, gioia ed equanimità), ci siamo resi conto che le nostre tradizioni — Theravāda e tibetane — hanno molte pratiche e insegnamenti comuni. Con i buddhisti cinesi, coreani e molti vietnamiti, i tibetani condividono la tradizione monastica, i precetti etici dei bodhisattva, le scritture sanscrite e le pratiche di Amitābha, Avalokiteśvara, Samantabhadra e del Buddha della Medicina.

Quando i buddhisti tibetani incontrano i buddhisti giapponesi, si discute dei vincoli etici dei bodhisattva, del metodo per generare la calma dimorante e dei sūtra come il Sūtra del Loto (Saddharmapundarīka Sūtra). La setta giapponese Shingon pratica il Tantrayāna, e con loro condividiamo la pratica dello yoga tantra di Vajradhātu Mandala e la pratica di Vairocanābhisambodhi. È chiaro dunque che i praticanti buddhisti tibetani condividono molti punti che possono essere discussi con gli appartenenti delle altre tradizioni buddhiste. Per questo motivo, il Buddhismo tibetano è una forma completa di Buddhismo.

Tratto da I primi passi sul sentiero buddhista

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