Alcuni praticanti lamentano di non progredire nella pratica con la rapidità che vorrebbero. I fattori in gioco possono essere molteplici: avere aspettative irrealistiche rispetto alla velocità dei risultati, essere molto autocritici, non aver studiato a sufficienza e quindi non sapere come praticare correttamente, oppure vivere lontano da un maestro e da una comunità di Dharma che sia di sostegno. Il rimedio a questi ostacoli è avvicinarsi al Dharma con un atteggiamento rilassato e allegro, affidarsi agli insegnanti spirituali e studiare gli insegnamenti.
Ma in gioco possono esserci ulteriori fattori, come i tre tipi di pigrizia: (1) rimandare lo studio e la pratica a favore del sonno e dell’ozio, (2) essere distratti dalle attività di Dharma per dedicarsi a faccende irrilevanti, che mirano solo alla felicità di questa vita, oppure (3) essere frustrati, sentirsi sconfitti o mancare di fiducia in se stessi.
I primi due tipi di pigrizia derivano dall’attaccamento alla felicità di questa sola vita. Per sbarazzarsene, si raccomanda la meditazione sull’impermanenza e sulla morte, in modo da apprezzare la nostra preziosa rinascita umana e usarla con saggezza. Altrettanto utile è la meditazione sui difetti del saṃsāra: se non li comprendiamo chiaramente potremmo ritrovarci a usare il Dharma per tentare di rendere il nostro saṃsāra più confortevole, magari adottandone i metodi per gestire la nostra rabbia. Anche se è utile e creiamo meno karma distruttivo, di per sé questo approccio non porta alla liberazione.
Osservando la nostra mente possiamo scoprire che, a un certo livello, l’esistenza ciclica ci sembra tutto sommato una condizione piacevole e familiare. Anche se intellettualmente possiamo elencarne i sei svantaggi, i tre tipi di duḥkha e le otto condizioni insoddisfacenti, in cuor nostro continuiamo a pensare che sia possibile essere felici anche qui, soprattutto grazie a oggetti gradevoli, a persone attraenti, allo status sociale, a un bell’aspetto, alle lodi, al denaro e ai beni. Rimaniamo attaccati a questo tipo di felicità e dimentichiamo che, se solo ci sforzassimo di ottenerli, sono accessibili stati superiori di appagamento e beatitudine.
Per superare le visioni errate e l’attaccamento alle gioie dell’esistenza ciclica, dobbiamo meditare profondamente e con costanza sugli svantaggi del saṃsāra, come spiegato nella prima verità, e sulle origini di duḥkha, come descritto in dettaglio nella seconda. Alcune persone non sono particolarmente desiderose di fare meditazioni analitiche su questi argomenti, preferiscono visualizzare le divinità, dedicarsi alla meditazione sul respiro per sviluppare la concentrazione, recitare mantra o meditare sull’amore. Naturalmente anche queste pratiche sono utili, ma senza una sincera aspirazione a liberarsi dall’esistenza ciclica e a ottenere la liberazione, mancano di energia e non producono effetti a lungo termine. Il rischio è farle solo per sentirci meglio, alleviare lo stress, migliorare le nostre relazioni: tutti obiettivi sensati ma di portata limitata perché si concentrano solo su questa vita.
Dobbiamo rendere la nostra mente forte e coraggiosa. Analizzare gli svantaggi dell’esistenza ciclica da principio può sembrare sconcertante o sgradevole, ma l’effetto sulla nostra mente ci permette di fare scelte sagge, spingendoci a praticare con onestà e costanza. Rendendoci conto che nell’esistenza ciclica non esiste nulla che abbia uno scopo, un piacere o un valore duraturi, il nostro interesse si orienterà naturalmente verso il Dharma e saremo desiderosi di trasformare la nostra mente.
Una riflessione prolungata sull’opposto delle quattro visioni errate ci aiuta a generare l’aspirazione alla liberazione. Contemplando la natura impermanente di tutti i piaceri saṃsārici, ci rendiamo conto che obiettivi come la sicurezza finanziaria, le relazioni e la buona reputazione non sono garantiti e stabili come pensavamo. Comprendendone la transitorietà, li accetteremo per quello che sono, ne faremo uso e ne godremo senza però lasciarci distogliere dalla pratica del Dharma a causa dell’attaccamento che proviamo per essi.
Ragionare e meditare sulla natura poco attraente del nostro corpo, e su quello altrui, allevia l’ossessione per il nostro aspetto fisico e per gli effetti che l’invecchiamento avrà su di esso. Ci aiuta anche ad avere meno paura di separarcene al momento della morte e ridimensiona le nostre aspettative irrealistiche sulle relazioni sessuali. Avremo con il nostro corpo un rapporto più pragmatico, ne avremo cura mantenendolo pulito e sano — mangiando cibi nutrienti, prendendo medicine se necessario ed evitando le sostanze che lo danneggiano — in modo da poter continuare a praticare il Dharma.
La meditazione sul fatto che tutto ciò che è prodotto dalle afflizioni e dal karma non può darci felicità e pace autentiche ci riporta con i piedi per terra rispetto alle nostre relazioni con gli altri e il nostro ambiente. Ci sbarazzeremo delle nostre aspettative irrealistiche e saremo in grado di accettare le cose per quello che sono invece di lamentarci perché non sono come le vogliamo. Quando riconosciamo che la felicità del saṃsāra è ingannevole e di modesto valore, il nostro desiderio di ottenerla si affievolirà e la nostra mente si rivolgerà alla liberazione, alla vera pace e alla beatitudine.
Riflettere sul fatto che tutte le persone e i fenomeni che ci sembrano così reali non esistono come entità indipendenti, intrinseche, con caratteristiche immutabili amplia il raggio della nostra visione. Capiremo che il modo in cui le cose sembrano esistere è di per sé è ingannevole poiché tutto dipende da altri fattori ed è vuoto di tutte le false modalità di esistenza che la nostra ignoranza proietta. Poiché non esistono persone intrinsecamente malvagie, non saremo così turbati e arrabbiati, manterremo un atteggiamento ottimista, sapendo che possono cambiare. Le situazioni spiacevoli della nostra vita quotidiana ci sembreranno meno terribili e la nostra mente sarà più serena. La pratica del Dharma diventerà molto più facile e con uno sforzo gioioso saremo in grado di trasformare la mente senza fatica.
Il terzo tipo di pigrizia è lo scoraggiamento: pensiamo di non essere all’altezza, che il sentiero è troppo difficile o che il tipo di consapevolezza da ottenere come obiettivo è fuori dalla nostra portata. Personalmente credo che questo sia un grosso ostacolo per la società occidentale contemporanea. Siamo così legati alla visione di un’identità personale e così egocentrici da rinunciare prima ancora di averci provato. Che dipenda dagli insegnamenti sul peccato originale, dalle pressioni per eccellere o dalla competitività, raramente ci sentiamo davvero capaci e questa rassegnazione di fondo avvelena il nostro approccio al sentiero. Esaminare e liberarsi dei nostri preconcetti (sbagliati) sul significato del successo, riconoscere la nostra natura di buddha e sviluppare una profonda accettazione di noi stessi sono gli antidoti da adottare.
Ma come possiamo accettare noi stessi se siamo pieni di difetti e abbiamo creato un karma così distruttivo? Innanzitutto, dobbiamo essere meno autocritici e rivolgere anche a noi stessi un po’ di gentilezza e compassione, accettandoci per quello che siamo attualmente sapendo che possiamo migliorare in futuro. Riconosciamo che nelle vite precedenti abbiamo creato un’enorme quantità di meriti, perché ora abbiamo una preziosa rinascita umana con tutte le condizioni favorevoli per progredire sul sentiero. Inoltre, abbiamo il potenziale per diventare buddha — un potenziale che non potrà mai esserci sottratto o venire distrutto — e ognuno di noi ha talenti e doni unici che può condividere con il mondo.
Tratto da Samsara, nirvana, natura di buddha – Comprendere il potenziale della mente umana
Tutti i diritti riservati © Nalanda Edizioni FPMT (2024)