Come possiamo sbarazzarci della rabbia? Che cosa ci insegna a farlo il grande saggio Shantideva? Il primo passo è decidere che dobbiamo farlo. Fondamentalmente, “rabbia” si riferisce a uno stato dell’essere e a un modo di agire che faremmo molto meglio a eliminare.
Qualunque siano le mie azioni virtuose / venerare i buddha / la generosità e così via / accumulate in mille eoni / tutte vengono distrutte in un momento di rabbia.
In questa strofa, la rabbia è vista come una dipendenza emotiva piuttosto che come un peccato. Il “peccato” va di pari passo con il “crimine” come la trasgressione di una legge, con una pena come sua conseguenza, da parte del “Dio” delle religioni monoteiste nel caso del peccato, da parte della società nel caso di un reato.
Una dipendenza, invece, è un’abitudine che è diventata compulsiva, non è sotto il controllo di chi ne è soggetto e ha le sue conseguenze negative in un processo causale sia fisico sia mentale. E quando il suo risultato prosegue oltre la vita attuale di un singolo individuo, può essere giustamente definito un risultato “evolutivo”, sia che questo continuum evolutivo sia visto come un processo fisico di abitudine codificato in geni fisici – che producono corpi nuovi ma comunque influenzati (di altri esseri) – sia come un processo psicofisico in cui l’abitudine codifica un gene “psichico” che plasma la produzione di nuovi complessi mente-corpo di un continuum individuale.
Il primo passo assoluto nello yoga della pazienza è arrivare alla conclusione che la rabbia è pessima, nefasta, negativa, è una dipendenza e persino un peccato. Ma, come per qualsiasi dipendenza, è la mente che deve diventare determinata a voler eliminare questo atteggiamento ed emozione negativi. Per farlo, per prima cosa, la rabbia deve avere una definizione precisa, un confine che tracciamo tra la essa e gli impulsi, le emozioni o le energie correlate.
La rabbia si manifesta quando irritazione, fastidio, disapprovazione e così via esplodono improvvisamente in un impulso irrefrenabile che ci porta a rispondere in modo dannoso alla causa percepita di quei sentimenti. Non siamo più padroni delle azioni mentali, verbali o fisiche che agiamo in quel momento; non stiamo “esprimendo la nostra rabbia”; ne siamo diventati lo strumento involontario.
Chi potrebbe mai essere arrabbiato con un bodhisattva, una persona completamente altruista, se avesse realmente il controllo dei propri sentimenti? Possiamo provare solo rabbia pura, odio, impulso alla violenza, quando perdiamo la testa, il buon senso, siamo accecati dalla rabbia. Questa “follia”, insana nella sua furia, distrugge tutti i progressi che potremmo aver fatto grazie a un lungo, lunghissimo sforzo. Shantideva usa l’esempio estremo di essere arrabbiato con un bodhisattva. Da un punto di vista occidentale, potrebbe essere paragonato alla rabbia contro Gesù, Maria, Mosè, Maometto o Dio stesso. Ma alla fine, significa essere arrabbiati con la fonte di ogni bontà, mordere la mano che ci nutre. È palesemente autodistruttivo.
Non c’è male tanto dannoso quanto la rabbia / nessuna disciplina tanto efficace quanto la pazienza / pertanto, con tutti i mezzi possibili dovrei / coltivare intensamente la pazienza.
Decidendo che la rabbia produce sempre danni, il suo opposto deve essere compreso come infallibilmente utile. L’opposto della rabbia è, in definitiva, l’amore e la compassione, la volontà di aiutare gli altri a non soffrire e a essere felici. Tuttavia, sarebbe spingersi troppo oltre pensare di poter passare immediatamente dalla rabbia e dall’odio alla compassione e all’amore.
C’è però una via di mezzo, il terreno della tolleranza, della pazienza, della sopportazione e del perdono. Ci arrabbiamo quando veniamo danneggiati, o pensiamo di esserlo. Potremmo essere ancora irritati, ma non ci arrenderemo alla rabbia finché potremo tollerare l’irritazione, essendo pazienti con il torto subito, astenendoci dal reagire e persino perdonando l’offesa. Quindi, la risoluzione positiva è di coltivare la tolleranza e la pazienza.
Mantenendo la mente ferita dalla rabbia / non sperimenterò mai la pace. / Non avrò gioia o felicità, / perderò il sonno, contorcendomi per la frustrazione.
Quando si è stati feriti da qualcosa o da qualcuno, la rabbia che si prova è una seconda ferita che infliggiamo a noi stessi; è un’altra ferita in sé. La nostra mente non può trovare pace mentre la rabbia ci spinge a vendicarci di chi ci ha fatto del male. Cose che normalmente ci danno piacere, persino gioia – il volto della persona amata, il buon cibo, l’intrattenimento, il piacere sensuale – tutto perde immediatamente fascino e attrattiva nel momento in cui siamo arrabbiati. Quando lo siamo veramente, non riusciamo nemmeno ad addormentarci, la nostra mente rimugina l’offesa ancora e ancora e si arrovella su come reagire allo stesso modo o peggio.
La rabbia rovina le relazioni in cui dovrebbe esserci una grande reciprocità. Anche quando gli altri dipendono da noi e ricevono da noi il loro sostentamento e il loro benessere, arriveranno a odiarci e aspetteranno l’occasione per farci del male se li sottoponiamo costantemente alla nostra rabbia.
La rabbia logora amici e parenti. / “Sebbene compiaciuti dei miei doni, non si fidano mai di me!” / In breve, non c’è modo di vivere felici / mentre si brucia con il fuoco della rabbia.
La rabbia è come il fuoco: brucia noi e brucia gli altri. Non possiamo essere felici quando gli altri ci evitano, se ci percepiscono come una minaccia perché siamo irascibili. Approfondendo questi pensieri, possiamo arrivare alla conclusione che la rabbia è sempre dannosa, rovina persino cose che normalmente sono buone.
La rabbia, il mio vero nemico / crea sofferenze come queste. / Ma chiunque la controlli e la conquisti / trova la felicità qui e nell’aldilà.
Questa è la grande decisione da prendere: la rabbia in sé è il nostro più grande nemico. Ci causa il danno peggiore, ci ferisce dall’interno, uccide la nostra felicità ed è particolarmente difficile da contrastare proprio perché proviene da noi; in realtà si traveste da noi. Quando lo capiremo, trovare la felicità diventerà più semplice. Abbandonare la rabbia ci dà una chiave per la felicità. Poiché il nostro nemico principale è dentro di noi, è una singola fonte, possiamo rivolgerti contro di esso, trovarne la radice, impararne le manifestazioni e corazzarci contro di esse, impegnandoci per sradicarlo. Allora saremo liberi dai danni che sa causare. Possiamo conquistarlo, poco a poco, e raggiungere realisticamente la felicità che cerchiamo.
Questa è la scoperta radicale della psicologia buddhista: non dobbiamo rassegnarci alla sofferenza ordinaria, a essere sempre ignari di ciò che sta realmente accadendo, impotenti non solo di fronte alla società e allo spazio e al tempo e agli altri, ma soprattutto di fronte alle nostre pulsioni, ai nostri impulsi e ai nostri diktat interiori. Non dobbiamo arrenderci permettendo alla rabbia di sballottarci qua e là a sua discrezione. Possiamo diventare consapevoli di ciò che fino a oggi ignoravamo. Possiamo capire le nostre pulsioni, vedere da dove provengono, bloccarne la fonte e deviarne l’energia intenzionalmente. Possiamo resistere a tutti gli imperativi della rabbia e imparare a maneggiare le energie sottostanti. Possiamo rivendicare quelle energie per la nostra vita, per la nostra felicità e per la felicità dei nostri cari.
Successivamente, dobbiamo comprendere i meccanismi mentali della rabbia.
La rabbia trova il suo nutrimento nel disagio mentale / che provo, di fronte all’evento indesiderato / e quando non ottengo ciò che voglio che accada; / poi esplode e mi sopraffà.
La definizione di “rabbia”, sia come vizio o peccato mortale (o capitale in Occidente), sia come dipendenza mentale radice secondo il Buddhismo, include essenzialmente la sua capacità di trascinarci via. Si verifica quando la sua intensità demolisce la nostra capacità di ragionare e il buon senso e la nostra mente, le nostre parole e il nostro corpo diventano i suoi strumenti. L’intuizione che Shantideva condivide con noi attraverso queste strofe è che, prima che la vera rabbia si manifesti, c’è un “disagio mentale”, una frustrazione che deriva dal vedere accadere cose che non vogliamo o dal vedere ciò che vogliamo viene ostacolato. Sebbene queste circostanze ci irritino sempre più, siamo ancora lucidi, ancora ragionevoli. Il trucco allora è intervenire, mentalmente, verbalmente o fisicamente, per dissipare quel disagio, per affrontare energicamente quello che sta ribollendo in noi, prima di esplodere e perdere il controllo e diventare lo strumento della nostra rabbia.
Vedendo ciò, dovrei eliminare accuratamente / quel cibo che dà vita al nemico; / perché quel nemico non sa fare altro / che causarmi danno.
Pertanto, per impedire al combustibile della rabbia di raggiungere il punto di combustione possiamo intervenire sulla situazione esterna oppure affrontare interiormente la nostra reazione. Se agiamo esternamente, puoi essere in modo energico, persino aggressivo (poiché la rabbia non è semplicemente aggressione, piuttosto un tipo estremo di aggressione), per far accadere ciò che vogliamo o per impedire che accada ciò che non desideriamo. Tuttavia il nostro coinvolgimento attivo sarà molto più efficace se saremo ragionevoli e avremo il pieno controllo della nostra energia, piuttosto che quando siamo fuori controllo e inclini a reagire in modo eccessivo. Tuttavia, è sempre possibile non riuscire comunque a influenzare il risultato e che ciò che temiamo di più accada oppure che ciò che speriamo di più non accada affatto. In quel caso, dobbiamo voltarci e intervenire nel nostro mondo interiore, nella nostra mente.
Qualunque cosa accada, non devo permettere /che la mia pace venga disturbata. / Essere infelice non realizzerà il mio desiderio, / e mi farà perdere tutte le mie virtù.
Qui l’intervento consiste nell’impedire che il disagio o la frustrazione diventino intollerabili e ingestibili. Dobbiamo rimanere calmi, sereni, contenti. Come? Ci sono molti modi per farlo. Possiamo distrarci contando le nostre benedizioni o pensando a come potrebbe essere ancora peggio. Guardiamo più in profondità l’immagine che ci disturba, cercando di capire come usare le nostre aspettative frustrate a nostro vantaggio per sviluppare la tolleranza e forza d’animo.
Vediamo attraverso il nostro senso di etico ciò che è sbagliato e osserviamo il tutto da altre prospettive. Come minimo, ci rendiamo conto che lasciarci andare all’ira non migliorerà la situazione, ma aggiungerà semplicemente all’infelicità che già proviamo un ulteriore dolore interiore. Questo è un punto cruciale, poiché abbiamo a che fare con una dipendenza. Chi ha una dipendenza è sedotto dalla sostanza che l’ha creata poiché gli dà l’illusione che lo aiuterà a provare un po’ di sollievo. Allo stesso modo, la rabbia si insinua nella nostra mente, presentandosi come un’energia utile: “Questo è semplicemente inaccettabile, oltraggioso! Infuriamoci e la nostra energia ardente brucerà qualunque ostacolo, metterà fine a questa situazione! Forse le cose non hanno sempre funzionato in passato, ma cos’altro posso fare per questo dolore!” Questa dipendenza da un’abitudine mentale è più sottile della dipendenza da una sostanza fisica che promette di far ottenere uno stato mentale piacevole.
L’abitudine mentale si presenta come fosse un nostro nuovo stato, come l’imperativo dettato dalla nostra stessa natura, quindi è irresistibile. Chi ha dipendenze sa bene di che tipo di esperienza stiamo parlando, della scarica di adrenalina, dell’euforia e poi della terribile ricaduta, quando tutto l’effetto delle sostanze svanosce; e nel momento della tentazione, la promessa di quell’attimo esaltante fa dimenticare le dolorose conseguenze che inesorabilomente si presenteranno. È così che possiamo riconoscere nella rabbia il nostro nemico, da qui nasce la decisione di domare la rabbia e la fondamentale importanza della nostra determinazione.
Perché essere infelice per qualcosa / se puoi fare qualcosa al riguardo? / Se non si può fare nulla, a cosa serve essere infelice?
Questa massima è diventata un classico. Quando siamo frustrati, possiamo intervenire in una situazione senza arrabbiarci, facendolo addirittura allegramente e con energia gioiosa. Quando invece non c’è nulla da fare, allora possiamo intervenire dentro di noi, ricordandoci di non aggiungere alla nostra infelicità la follia della nostra frustrazione.
Tradotto da Anger: The Seven Deadly Sins – Oxford University Press