In principio c’è l’ignoranza

In principio c’è l’ignoranza

Nella presentazione dei dodici anelli dell’origine dipendente, il primo anello, che è la base di tutti gli altri, è l’ignoranza. L’ignoranza crea tutti gli alti e bassi, la felicità e la sofferenza che sono parte integrante dell’esperienza samsarica. Il samsara è così: a volte siamo felici e a volte soffriamo. Tutte le complesse illusioni e manifestazioni che costituiscono questo mondo sono radicate nell’ignoranza. In questo contesto, ignoranza significa “non conoscere” la vera natura dell’esistenza. Quando non si comprende o non si riconosce la vera natura della realtà, allora attraverso questa “ignoranza” si manifesta tutto il samsara. L’ignoranza è quindi la causa principale della nostra felicità e della nostra sofferenza. Ecco perché è presentata come il primo dei dodici anelli. 

Il primo anello, la radice dell’ignoranza, ci insegna che, ignorando la vera natura dei fenomeni, proiettiamo cose che non esistono; siamo illusi, siamo confusi. Sebbene non esista un sé, abbiamo l’illusione di avere un “sé”. Sebbene tutto sia impermanente, proiettiamo erroneamente la permanenza su ogni cosa. Crediamo anche che alcune cose, come i beni materiali, portino la felicità, quando in realtà non è così. La nostra ignoranza dà origine alla confusione. E a causa della confusione, si genera il nostro mondo samsarico; tutti i modi che abbiamo di relazionarci alle cose sono generati dalla causa principale dell’ignoranza. 

In un certo senso, è una buona notizia perché vuol dire che è possibile liberarsi del samsara e della sua sofferenza. Se il samsara e la sofferenza fossero reali e solidi, non dovuti solo alla confusione della nostra mente, allora sarebbe molto difficile, se non impossibile, liberarsene. Ma poiché la causa principale della sofferenza e del samsara è la confusione e l’ignoranza della nostra mente, rimuovendo quell’illusione e quell’ignoranza allora la radice stessa del samsara e della sofferenza può essere eliminata. Lavorando sulla confusione della nostra mente possiamo liberarci. Chiaramente, questo è molto positivo. 

Abbiamo la possibilità di liberarci e di raggiungere l’illuminazione affrontando la radice stessa del samsara e della sua complessa sofferenza. Nelle scritture buddhiste c’è un famoso esempio che illustra come l’ignoranza sia la radice della nostra sofferenza e mostra come, eliminando questa visione errata, l’infelicità del samsara scomparirà. È il famoso esempio della corda scambiata per un serpente. Se si entra in una stanza buia e si vede una corda avvolta su se stessa, si potrebbe credere per ignoranza che sia un serpente ed essere pieni di paura e di altre emozioni dolorose e disturbanti. Se ci fosse davvero un serpente, saremmo in guai seri e dovremmo fare del nostro meglio per uscire da quella situazione. Ma nel nostro caso c’è solo confusione: non c’è alcun serpente, solo una corda. Esaminando ciò che è realmente presente, ci si rende conto che non è affatto un rettile spaventoso e le sensazioni di panico e ansia scompaiono. Allo stesso modo, se il samsara, che è piuttosto inquietante con tutto il suo dolore e la sua sofferenza, fosse reale come sembra, allora liberarsene sarebbe un’impresa. Ma poiché la radice stessa del samsara sono la nostra ignoranza e confusione, una volta che ce ne siamo liberati, tutti i problemi spariranno. Ciò non significa che il samsara è reale e dobbiamo liberarcene, ma che la nostra percezione del samsara è radicata in un errore di fondo; è l’errore che deve essere eliminato. Una volta fatto, saremo liberati da tutto il samsara. 

Per contrastare la confusione e l’ignoranza che sono la radice della sofferenza, il Buddha insegnò a tre diversi livelli, chiamati i tre Veicoli. Gli insegnamenti del primo Veicolo, l’hinayana, sono i più facili da capire: il Buddha spiegò che la nostra sofferenza nel samsara è dovuta alla nostra errata convinzione di essere un sé solido e reale. Egli dimostrò che, in realtà, non esiste un sé permanente e che è attraverso l’invenzione della nostra nozione di un sé che nascono tutte le nostre sofferenze e difficoltà. Scoprendo che non esiste un sé permanente, ci si rende conto che non c’è nessuno che soffre, nessuno che ha difficoltà: questa è davvero la liberazione. 

Il modo per stabilire che non esiste un sé permanente è cercare di trovarlo, analizzando attentamente le componenti della propria esistenza, in particolare i cinque aggregati, i dodici dhatu e i diciotto elementi. Si cerca di trovare un singolo sé individuale, la cosa a cui ci riferiamo come “io”, e invece si trova solo un insieme di aggregati o elementi. Poi si osserva la mente nel corso del tempo e si scopre che l’“io” che era nel passato non è l’“io” che è nel presente, né è l’“io” che sarà nel futuro. Attraverso un’analisi così attenta, si capisce chiaramente che non esiste un sé permanente. Meditando profondamente sul significato di questa scoperta, si superano la confusione e l’illusione causate dalla proiezione di un sé duraturo. È così che viene rimossa la fonte primaria di sofferenza e difficoltà, secondo gli insegnamenti del primo veicolo.

A coloro che possedevano grande intelligenza e una visione e saggezza più ampie, il Buddha insegnò una combinazione di mezzi abili e saggezza nel secondo veicolo, il Mahayana. Per rimuovere l’ignoranza, il Buddha dimostrò che non solo il sé individuale era “vuoto” o privo di un sé permanente, ma che anche tutti i fenomeni esterni, come montagne e alberi, così come i pensieri e le sensazioni interiori, erano vuoti. Attraverso un’analisi acuta e profonda dei fenomeni grossolani, in particolare come presentati nel Madhayamaka o “insegnamenti della Via di mezzo”, si arriva a capire che non esiste alcun fenomeno che abbia una vera esistenza, perché tutte le cose grossolane sono semplicemente raccolte di componenti più piccoli e non hanno un’esistenza a sé stante. I fenomeni sono solo insiemi di cose più piccole. Indagando fino agli oggetti più sottili, alla nozione di atomo o al più piccolo mattoncino della materia, si riconosce che non ci sono entità auto-esistenti nel mondo fenomenico. Allo stesso modo, si applica una logica simile alla propria mente: la si analizza rispetto al tempo, andando alla più piccola frazione di momenti mentali. Da questa analisi, ci si rende conto che anche la mente, i pensieri e le sensazioni non hanno l’entità duratura che sembrano avere. Attraverso tutti questi abili approcci, si comprende il vuoto in un senso più ampio: il fatto che tutti i fenomeni sono privi di esistenza intrinseca. Attraverso queste analisi logiche, si sviluppa la visione della vacuità; poi la si contempla e si medita su di essa. E così si superano tutte le illusioni. Il valore di questo approccio è che non solo porta alla nostra liberazione, ma anche di molti, molti altri esseri. Sebbene l’hinayana sia un approccio meraviglioso e porti benefici a molti esseri, nelle scritture si dice che il tempo necessario per completare il processo dell’hinayana e del mahayana potrebbe essere lungo fino a tre eoni, ovvero nell’ordine di milioni di anni.

Il terzo veicolo è il Vajrayana, che ci dà l’opportunità di raggiungere lo stato di Buddha molto rapidamente. Il Vajrayana riconosce che, sebbene sia importante analizzare i fenomeni esterni, questo processo richiede molto tempo; l’approccio Vajrayana consiste quindi nell’esaminare la mente, che è molto vicina e molto più facile da analizzare. A livello grossolano, vediamo la nostra mente come una cosa unica, come qualcosa che esiste e che sperimenta pensieri, sensazioni e percezioni. Questa è un’esperienza molto potente e siamo sicuri che la mente esista come entità solida. Ma una volta che esaminiamo la mente da vicino per scoprire le sue caratteristiche, la sua stessa natura o essenza, scopriamo che è priva di qualsiasi entità. Non possiamo trovare alcun colore o forma per essa, né possiamo trovare alcun luogo in cui la mente riposi. In effetti, questa cosa che chiamiamo “mente” non è nulla e non si trova da nessuna parte. La mente è vuota per sua stessa essenza. Una volta stabilito il vuoto della mente, l’approccio Vajrayana consiste nell’osservare il vuoto dei fenomeni esterni, che ora sarà più facile da stabilire, perché i fenomeni esterni sono solo apparenze nella mente, che è già stata stabilita come vuota. 

Gli insegnamenti del Buddha sono presentati nei sutra e nei tantra. Le informazioni sui dodici anelli dell’origine dipendente si trovano principalmente nei sutra, ma gli insegnamenti sull’interdipendenza sono validi anche per i tantra. Come già accennato, ci sono dodici anelli dell’interdipendenza, che iniziano con il primo anello, l’ignoranza. Si tratta dell’ignoranza che non ci fa comprendere la vera natura della realtà, che è vacuità. È questa ignoranza che ci fa vagare nel samsara. È attraverso l’ignoranza di non conoscere la verità che seguono gli altri anelli, la ragione per cui le nostre menti diventano samsariche. 

Ancora una volta, ignoranza significa non conoscere la vera natura della realtà; vedere solo come sembra essere la realtà e non come è realmente. 

Tradotto da The Twelve Links of Interdependent Origination di Khenchen Thrangu Rinpoche

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