I diciassette pandita del Nalanda

I diciassette pandita del Nalanda

Ogni volta che dà insegnamenti Sua Santità il Dalai Lama ricorda sempre che il Buddhismo tibetano non è altro che il Buddhismo dell’India nella tradizione del Nalanda, la grande università monastica (in realtà, una vera e propria città universitaria) fondata durante il regno di Kamaragupta I, nel 427 d.C, nell’attuale Bihar, in India.

Molti dei più grandi maestri e studiosi del Buddhismo indiano risiedettero – e spesso presiedettero – in questo centro monastico di studio e pratica, che nel suo periodo di massimo splendore ospitava migliaia di monaci, dozzine di templi e un’enorme biblioteca. Sebbene non sappiamo con certezza se tutti i diciassette maestri elencati di seguito abbiano soggiornato fisicamente a Nalanda, non c’è dubbio che i loro insegnamenti e il loro impatto siano stati pienamente integrati negli insegnamenti e nelle presentazioni del pensiero buddhista elaborato in quel luogo straordinario.

Tradizionalmente, i tibetani facevano riferimento ai Sei Ornamenti dell’India (Nagarjuna, Aryadeva, Asanga, Vasubandhu, Dignaga e Dharmakirti) e ai Due Supremi (Gunaprabha e Shakyaprabha). Successivamente, però, Sua Santità il XIV Dalai Lama ha ampliato l’elenco ad altri otto grandi maestri.

Questi diciassette maestri sono di vitale importanza perché i loro scritti sono tutti basati su una reale e personale esperienza meditativa. La loro eredità di commentari e trattati costituisce la spina dorsale della comprensione, la base su cui i praticanti possono coltivare la visione corretta e progredire – fino a completare – il sentiero verso l’illuminazione.

L’ordine che proponiamo è stato modificato rispetto a come presentato abitualmente adottando un ordine cronologico che rivela, cosa interessante, come queste grandi menti fossero spesso contemporanee e si concentrassero anche su aree di pensiero molto diverse nella filosofia buddhista.

  1. Nagarjuna è considerato il primo dei diciassette pandita di Nalanda. Mentre gli studiosi occidentali generalmente presumono che ci fossero due Nagarjuna separati da diversi secoli, la tradizione lo considera un maestro particolarmente longevo che è stato fondamentale nel rivelare gli insegnamenti e i sutra Mahayana, nel chiarire il significato della vacuità e la visione Madhyamaka in particolare, e nell’essere un grande maestro di tantra. Le sue opere sono tipicamente divise in tre gruppi: le sue lodi, i suoi discorsi e le opere sul ragionamento. Il suo testo più famoso appartiene a quest’ultima categoria ed intitolato Trattato sulla Via di Mezzo.
  2. Aryadeva (III secolo) fu allievo di Nagarjuna e, mentre molti studiosi occidentali identificano ancora una volta due figure, la tradizione tibetana lo considera un singolo maestro, attivo nel III secolo d.C. A Nalanda, era famoso per aver convertito molti seguaci del bramanesimo alla visione buddhista. Si dice anche che sia identico a uno degli 84 mahasiddha, Karnari. È famoso soprattutto per le sue Quattrocento Stanze sulla Via di Mezzo, un commentario al Trattato di Nagarjuna che spiega i sentieri associati alle verità convenzionali.
  3. Asanga (320-390), nato nell’attuale Peshawar, in Pakistan, e fratello maggiore di Vasubandhu, è spesso considerato il padre dello Yogācāra, sebbene i suoi testi non possano essere classificati in modo così preciso. Mentre inizialmente studiava nella tradizione Sarvastivadin, adottò la visione e la pratica del Mahayana. Trascorse 12 anni in una grotta, dopo i quali ebbe visioni di Maitreya che lo portarono al cielo di Tushita e gli diedero gli insegnamenti che formano i cinque testi di Maitreya. Altre opere famose includono il suo commento all’Abhidharma dal punto di vista Mahayana, così come i suoi Sentieri e Bhumi del Bodhisattva e il Compendio del Mahayana.
  4. Vasubandhu (IV secolo, forse fino al V), fratello di Asanga, è famoso soprattutto per il suo Abhidharmakośa (Tesoro dell’Abhidarma) e il suo commentario, la Triṃśikā e la Viṃśatikā, e alcuni testi religiosi Yogācāra. Successivamente, sotto l’influenza e la guida di Asanga, adottò la visione e la pratica del Mahayana.
  5. Buddhapalita (470-540) è noto come uno dei primi sistematizzatori di ciò che gli eruditi successivi definirono Prasangika Madhyamaka, luna scuola filosofica buddhista che utilizza una tecnica di descrizione delle conseguenze assurde del sostenere qualsiasi visione nel tentativo di descrivere la realtà. è stato un commentatore delle opere di Nagarjuna e Aryadeva. Il suo Mūlamadhyamakavṛtti è un influente commentario al Mūlamadhyamakakarikā. L’approccio di Buddhapālita fu criticato dal suo contemporaneo Bhāviveka, e poi difeso dal successivo Candrakīrti. La successiva scolastica tibetana (dall’XI secolo in poi) avrebbe caratterizzato i due approcci come le scuole prasaṅgika (Buddhapālita-Candrakīrti) e svatantrika (di Bhāviveka) della filosofia Madhyamaka.
  6. Dignaga (480-540) fu un monaco e fu uno dei primi a formulare la logica buddhista, utilizzando il sillogismo come metodo per arrivare a quelli che considerava i due tipi di cognizione valida, cioè la percezione diretta e l’inferenza. La sua opera più famosa è il Compendio della Cognizione Valida.
  7. Bhavaviveka (500-570 d.C.) è considerato il padre della corrente filosofiche che gli eruditi successivi definiscono Svatantrika Madhyamaka, in contrasto con la Prasangika di cui era critico. Bhāviveka scrisse un’opera indipendente sul Madhyamaka intitolata Madhyamakahrdayakārikā e il suo commentario Tarkajvālā che forniscono un resoconto unico e autorevole delle differenze intellettuali che animavano la comunità buddhista dell’epoca. Il testo sopravvive in un manoscritto sanscrito incompleto e in una traduzione tibetana di Atiśa e del Lotsawa Jayaśīla (che ha permesso una ricostruzione del sanscrito completo).
  8. Arya Vimuktisena (VI secolo), basandosi sul lavoro di Dignaga e dei successivi maestri Madhyamaka, scrisse il primo – e molto importante – commentario all’Ornamento delle Chiare Realizzazioni (uno dei Cinque Testi di Maitreya) che collegava esplicitamente questo ai sutra della Perfezione della Saggezza.
  9. Chandrakirti (600-650) si basò sulle opere di Nagarjuna e Buddhapalita, argomentandole ulteriormente nella sua Introduction to the Middle Way”. Il suo lavoro è la base del punto di vista Prasangika. Tra le sue opere: il Commentario alle chiare parole sulle stanze fondamentali della Via di Mezzo), conosciuto semplicemente come Prasannapadā (Parole Chiare), un commentario al Mūlamadhyamakakārikā di Nagarjuna; il Madhyamakāvatāra (Introduzione al Madhyamaka), insieme a un auto-commentario, adottato come principale libro di testo dalla maggior parte dei collegi monastici tibetani nei loro studi del Madhyamaka.
  10. Dharmakirti (600-670) si basò sul lavoro di Dignaga e fu una figura seminale nell’articolazione di ciò che costituisce la cognizione valida. è stato un filosofo indiano di logica pramāṇa della scuola buddista di Yogacara. Sosteneva che il miglioramento delle qualità spirituali non era limitato dalla o alla natura umana.
  11. Shantideva (VIII secolo) è meglio conosciuto come l’autore del Bodhisattvacaryāvatāra, L’ingresso nelle attività dei bodhisattva, un ispirato poema sulla bodhicitta e il suo progressivo sviluppo nella pratica del bodhisattva. L’edizione maggiore è composta di mille quartine suddivise in dieci capitoli. Conserviamo una versione sanscrita e due versioni, in cinese e tibetano, trasmesse nei rispettivi Canoni buddhisti.
  12. Shantarakshita (725-788) nacque nella casa reale di Zahor in Bengala e divenne un grande studioso del Nalanda e successivamente fu determinante nello stabilire il Buddhismo in Tibet. Il suo “Adornment of the Middle Way” è una delle sue opere più famose. Quest’opera, successivamente classificata come Yogachara Svatantrika Madhyamaka, si basa sul lavoro dei suoi predecessori e presenta quello che molti considerano uno dei testi più importanti da studiare per ricevere una comprensione completa ed equilibrata di come le varie correnti filosofiche all’interno del Buddhismo Mahayana coesistano.
  13. Kamalashila (740-795), allievo di Shantarakshita, andò in Tibet e partecipò al grande dibattito a Samye con Moheyan, un maestro Chan, in cui si dice che Kamalashila lo abbia sconfitto. Le sue opere più famose sono i tre testi Gli stadi della meditazione.
  14. Haribhadra (IX secolo), contemporaneo di Kamalashila e forse allievo di Shantarakshita, è meglio conosciuto per i suoi commentari sulla Perfezione della Saggezza (il suo è ancora il commentario più utilizzato per questo argomento nella tradizione tibetana) e l’Ornamento della Chiara Realizzazione.
  15. Gunaprabha (VII secolo) è famoso soprattutto per il suo lavoro sul vinaya, in cui riassunse gli enormi testi vinaya dei Mulasarvastivadin in un testo, Vinayasutra, che rimane l’opera più importante sulla disciplina nelle tradizioni monastiche tibetane.
  16. Shakyaprabha è un altro maestro venerato per il suo lavoro sul vinaya. Lui e Gunaprabha sono conosciuti in Tibet come i “Due Supremi”.
  17. Atisha (982-1054) fu il grande maestro bengalese che, dopo aver risieduto a Vikramashila e Nalanda, in seguito andò a studiare con Serlingpa in quella che si presume essere l’Indonesia prima di trasferirsi in Tibet per rinvigorire il Buddhismo dopo il cosiddetto periodo oscuro. Grande maestro tantrico, Atisha è famoso soprattutto per aver fondato il lignaggio Kadam in Tibet, enfatizzando tecniche innovative di pratica Mahayana come il lojong, o addestramento mentale, e il lamrim o stadi graduali del sentiero come esposto nel suo classico La lampada sul sentiero per l’illuminazione.
  1. Aryadeva འཕགས་པ་ལྷ་ | 2. Nāgārjuna ཀླུ་སྒྲུབ། | 3. Gunaprabha ཡོན་ཏན་འོད་ | 4. Dignaga ཕྱོགས་ཀྱི་གླང་པོ་ | 5. Bhavaviveka ལེགས་ལྡན་འབྱེད་ | 6. Buddhapalita སངས་རྒྱས་བསྐྱངས་ | 7. Chandrakirti ཟླ་བ་གྲགས་པ་ | 8. Shantideva ཞི་བ་ལྷ་ | 9. Jowo Jé Palden Atisha ཇོ་བོ་རྗེ་དཔལ་ལྡན་ཨ་ཏི་ཤ་ |10. Asanga ཐོགས་མེད་ | 11. Vasubandhu དབྱིག་གཉེན་ | 12. Shakyaprabha ཤཱཀྱ་འོད་ | 13. Dharmakirti ཆོས་ཀྱི་གྲགས་པ་ | 14. Haribhadra སེང་གེ་བཟང་པོ་ | 15. Arya Vimuktisena འཕགས་པ་རྣམ་གྲོལ་སྡེ་ | 16. Kamalashila པདྨའི་ངང་ཚུལ་ | 17. Shantarakshita ཞི་བ་འཚོ་ | 18. Buddha Shakyamuni སངས་རྒྱས་ཤཱཀྱ་ཐུབ་པ་
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Praticare la generosità

Dana, la generosità, è la prima delle sei paramita, o perfezioni che un bodhisattva coltiva sulla via dell’illuminazione perché è il fondamento su cui si sviluppano tutte le altre virtù.
La generosità offre molti benefici:
 
  • purifica la mente dai desideri egoistici e dall’attaccamento ai beni materiali,
  • permette l’accumulazione di meriti
  • crea karma positivo
  • permette di sviluppare la saggezza che comprende natura interdipendente di tutte le cose e la vacuità (shunyata)
  • dona felicità e soddisfazione, dando un senso di scopo e significato alla vita

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