Rimé ovvero “non settario”

Rimé ovvero “non settario”

Il movimento Rimé (རིས་མེད་, ris med), un termine tibetano che si traduce letteralmente come “senza parti,” “non-parziale,” o “non-settario”, rappresenta una delle correnti intellettuali e spirituali più significative emerse nel Buddhismo Tibetano durante il XIX secolo. Sorto prevalentemente nel Tibet orientale (Kham), il Rimé non si propone come una nuova scuola o un tentativo di sincretismo dottrinale, bensì come un approccio che promuove lo studio, la pratica, la preservazione e il mutuo rispetto di tutte le tradizioni e lignaggi del Buddhismo Tibetano, principalmente Nyingma, Kagyu, Sakya e Gelug, estendendo in certi contesti il suo apprezzamento anche alla tradizione Bön, autoctona del Paese delle Nevi.

L’essenza del Rimé risiede nel riconoscere il valore intrinseco e il beneficio potenziale di molteplici punti di vista filosofici e metodi pratici, considerandoli adatti a diverse disposizioni, capacità e necessità karmiche degli individui. Lungi dal voler fondere o diluire le specificità di ciascun lignaggio, il movimento Rimé ne sottolinea l’integrità e l’importanza di mantenerne vive le caratteristiche peculiari. Di conseguenza, i praticanti che aderiscono all’approccio Rimé generalmente mantengono una pratica principale radicata in un lignaggio specifico, arricchendola però con lo studio e il rispetto per le altre tradizioni.

Questo approccio quindi, trascende una semplice filosofia di tolleranza passiva, incarnando una strategia attiva e consapevole di conservazione culturale e spirituale. L’imponente opera di raccolta, catalogazione, edizione e stampa di testi rari e lignaggi che rischiavano l’estinzione, intrapresa dai suoi fondatori, va ben oltre la mera accettazione intellettuale delle altre scuole. La filosofia Rimé implica infatti un sofisticato equilibrio tra l’apprezzamento universale di tutti gli insegnamenti autentici del Buddha e la fedeltà al proprio lignaggio di pratica principale. 

Jamgön Kongtrül, uno dei principali artefici del movimento, ammoniva che confonderci riguardo ai vari principi e alla terminologia delle diverse scuole, senza una solida base nella propria, porta a mancare “persino un punto d’appoggio nella nostra stessa tradizione”, concludendo che “sarebbe molto meglio possedere una chiara comprensione della nostra tradizione”. Ciò indica che l’apertura e l’ampiezza di vedute promosse dal Rimé non nascono da un eclettismo superficiale o da una mancanza di radicamento ma, al contrario, da una profonda e sicura comprensione della propria via spirituale, che diviene il fondamento per un apprezzamento genuino e informato delle altre.

Il movimento Rimé fiorì nel Tibet orientale, specificamente nella regione del Kham, durante il XIX secolo, un’epoca caratterizzata da un notevole fermento culturale e religioso, ma anche da significative tensioni settarie e da una crescente egemonia politica e culturale della scuola Gelug, che aveva consolidato il suo potere in Tibet centrale sin dal XVII secolo. Diverse fonti indicano che le istituzioni Gelug avevano progressivamente marginalizzato le altre principali tradizioni – Nyingma, Kagyu e Sakya – in vari aspetti della vita culturale e religiosa tibetana. Questa situazione generò una profonda preoccupazione tra molti maestri non-Gelug riguardo alla potenziale perdita di preziosi lignaggi, insegnamenti e pratiche testuali, alcuni dei quali erano già rari o sull’orlo dell’estinzione a causa della soppressione o della semplice indifferenza popolare. Il movimento Rimé, composto principalmente da eminenti figure delle scuole Sakya, Kagyu e Nyingma, sorse in parte come risposta diretta a questa minaccia percepita.

È importante notare che, sebbene il Kham fosse parte del più ampio contesto culturale tibetano, godeva di una certa autonomia regionale e presentava un panorama politico più frammentato rispetto al Tibet centrale, dominato da Lhasa. Questa relativa indipendenza, specialmente in alcuni principati come il Regno di Derge, si rivelò cruciale. Derge, con le sue rinomate stamperie e una lunga tradizione di patrocinio delle arti e della religione, divenne un epicentro del movimento Rimé, fornendo un sostegno istituzionale indispensabile, inclusa la stampa di molte delle monumentali opere compilate dai suoi fondatori.Jamyang Khyentse Wangpo, uno dei principali architetti del Rimé, nacque a Derge e suo padre ricopriva la carica di segretario del re.

Tuttavia, l’ideale del non-settarismo non fu un’invenzione ex novo del XIX secolo. Tendenze eclettiche e un atteggiamento di rispetto e studio trasversale tra i lignaggi erano già presenti nella storia del Buddhismo tibetano. Figure di grande levatura come Je Tsongkhapa (1357-1419), il fondatore della scuola Gelug, Longchen Rabjam (1308-1364), luminare della tradizione Nyingma e persino Shabkar Tsokdruk Rangdrol (1781-1851), un monaco Gelug che fu anche un insigne praticante Dzogchen Nyingma e un critico delle tendenze settarie, sono esempi di maestri che studiarono e trassero ispirazione da insegnamenti provenienti da diverse scuole. Il Quinto Lelung Lobzang Trinle (1697-1740), ad esempio, ebbe numerosi maestri, incluso il celebre maestro Nyingma Terdak Lingpa, e scrisse di nutrire una “visione pura e imparziale (ris med) verso tutti i maestri compiuti… Sakya, Gelug, Nyingma, Drukpa Kagyu, Karma Kagyu, ecc.”. Anche il Terzo Tukwan Lobzang Chokyi Nyima (1737-1802), un eminente erudito Gelug, compose un’importante difesa della tradizione Nyingma in risposta a una polemica contro questa scuola. Questi precedenti storici dimostrano che l’ethos del Rimé aveva radici profonde nel tessuto del Dharma tibetano.

La nascita del Rimé, dunque, non fu semplicemente una reazione negativa alla predominanza Gelug, piuttosto un’affermazione positiva e costruttiva, basata su solidi precedenti storici di apertura inter-tradizionale. La crisi percepita nel XIX secolo agì da catalizzatore, spingendo questi ideali preesistenti a concretizzarsi in un movimento coeso, programmatico e straordinariamente produttivo. La localizzazione del Rimé nel Kham suggerisce anche come le periferie culturali e politiche possano, in determinate circostanze storiche, diventare centri vitali di innovazione e conservazione. L’autonomia relativa e il patrocinio illuminato di centri come Derge furono fattori cruciali per questa rinascita culturale e spirituale. 

Protagonisti e promotori

Il movimento Rimé fu animato da figure di straordinaria erudizione, profonda realizzazione spirituale e instancabile dedizione. Tra questi, tre maestri emersero come i principali architetti e ispiratori: Jamyang Khyentse Wangpo, Jamgön Kongtrül Lodrö Thayé e Chokgyur Dechen Lingpa. La loro stretta collaborazione e il mutuo rispetto furono fondamentali per il successo e l’impatto duraturo del movimento.

Jamyang Khyentse Wangpo (1820-1892): il visionario 

Nato nel 1820 a Derge, nel Kham, Jamyang Khyentse Wangpo è universalmente riconosciuto come una delle figure centrali e una delle principali fonti di ispirazione del movimento Rimé. Considerato una manifestazione combinata di Vimalamitra e del re Trisong Deutsen, la sua vita fu dedicata allo studio, alla pratica e alla preservazione del Dharma in tutta la sua ampiezza. Studiò con oltre centocinquanta maestri appartenenti a tutte le principali scuole del Buddhismo tibetano e ricevette insegnamenti e trasmissioni da ogni autentica tradizione di pratica con un lignaggio ininterrotto esistente all’epoca in Tibet, inclusi i lignaggi noti come le “Otto Grandi Carrozze della Pratica” (sgrub brgyud shing rta chen po brgyad). Si dice che abbia ricevuto la trasmissione orale di circa settecento volumi di testi buddhisti, inclusi il Kangyur (gli insegnamenti del Buddha), il Tengyur (i commentari dei maestri indiani) e il Nyingma Gyübum (la collezione dei tantra antichi).

Il suo ruolo nel Rimé fu quello di un visionario che, avendo constatato come le altre tradizioni fossero state marginalizzate, si adoperò instancabilmente per raccogliere, preservare e trasmettere insegnamenti rari o prossimi all’estinzione. Fu anche un prolifico rivelatore di tesori (tertön), conosciuto con il nome di Pema Ösel Dongak Lingpa, e considerato l’ultimo dei Cinque Tertön Sovrani. Le sue rivelazioni di terma sono raccolte principalmente nel Kabab Dun (Le sette speciali trasmissioni). Oltre a ciò, fu autore di circa tredici volumi di scritti originali (Kabum), che spaziano dalla filosofia alla pratica rituale, dalle istruzioni di meditazione alla storia e biografia, tutti permeati dal suo spirito non settario e dalla sua vasta erudizione. Fu inoltre determinante nell’ispirare e supervisionare la compilazione di importanti collezioni, tra cui il Compendio delle sadhana e le Cinque Grandi Tesorerie del suo stretto collaboratore Jamgön Kongtrül. Dilgo Khyentse Rinpoche, un grande maestro contemporaneo profondamente influenzato da lui, lo definì “il sigillo di tutti i Tertön”, poiché Khyentse Wangpo aveva avuto una visione in cui poteva vedere chiaramente la localizzazione di tutti i terma nascosti in Tibet.

Jamgön Kongtrül Lodrö Thayé (1813-1899): l’enciclopedista 

Nato nel 1813, Jamgön Kongtrül Lodrö Thayé fu uno dei più eminenti studiosi e poliedrici maestri del XIX secolo, spesso chiamato “Kongtrül il Grande”. Ebbe una profonda e simbiotica relazione con Jamyang Khyentse Wangpo, al punto che divennero maestri l’uno dell’altro. Considerato un’emanazione di Vairotsana e Vajrapāṇi, e riconosciuto come tertön da Chokgyur Lingpa, Kongtrül è celebre soprattutto per la sua monumentale opera di compilazione nota come le Cinque Grandi Tesorerie (mdzod chen lnga). Queste collezioni, che comprendono oltre novanta volumi di scritti, rappresentano un compendio enciclopedico del pensiero e della pratica buddhisti tibetani e costituiscono una delle eredità più tangibili e preziose del movimento Rimé.

Oltre a questo immenso lavoro di raccolta e sistematizzazione, Kongtrül promosse attivamente gli ideali di non settarismo attraverso i suoi numerosi scritti originali e le sue preghiere. In particolare, quella intitolata La ghirlanda vajra indistruttibile, una preghiera di aspirazione per le vite dei supremi detentori degli insegnamenti non settari è considerata una concisa e potente affermazione dei suoi ideali. Le sue parole contro il settarismo sono particolarmente incisive: “Proprio come un re sopraffatto dall’interesse personale non è degno di essere il protettore del regno, una persona settaria non è degna di essere un detentore del Dharma. Non solo, è indegno persino di sostenere la propria tradizione.” E ancora: “I nobili condividono un’unica visione ultima, ma gli arroganti la piegano ai propri interessi. Coloro che mostrano tutti gli insegnamenti del Buddha come privi di contraddizione possono essere considerati persone erudite, ma chi sarebbe così sciocco da pensare che coloro che causano discordia siano detentori del Dharma?”. Queste affermazioni sottolineano la sua profonda convinzione che il settarismo non solo sia dannoso per l’armonia tra le scuole, ma mini alla base l’integrità stessa della pratica spirituale.

Chokgyur Dechen Lingpa (1829-1870): il rivelatore di tesori

Nato nel 1829, Chokgyur Dechen Lingpa fu uno dei più grandi e prolifici tertön del XIX secolo, considerato un’emanazione del principe Murub Tsenpo, figlio del re Trisong Deutsen. Lavorò in stretta associazione con Jamyang Khyentse Wangpo e Jamgön Kongtrül, con i quali condivise una relazione di mutuo rispetto, considerandosi reciprocamente maestri e discepoli. Le sue rivelazioni di tesori, note collettivamente come Chokling Tersar, comprendono oltre quaranta volumi di testi e sono particolarmente apprezzate per la loro concisione, profondità e facilità di applicazione, rendendole adatte ai praticanti dei tempi moderni. Queste rivelazioni includono pratiche fondamentali relative a Guru Rinpoche, alla Grande perfezione (Dzogchen) e ad Avalokiteśvara, che lo qualificano come un “grande rivelatore di tesori”.

Era considerato un detentore delle “sette trasmissioni speciali” (ka bab dün), come profetizzato in uno dei suoi cicli di Tesori, Le tre sezioni della Grande Perfezione. Queste includono il lignaggio orale ininterrotto derivante dalle scritture, i profondi Tesori Effettivi e i Tesori Mentali, i Tesori Riscoperti e i Tesori Ricordati, i Tesori di Pura Visione e i Lignaggi Sussurrati. Una profezia associata a queste trasmissioni afferma: “Il fiume fluente di queste sette trasmissioni, il destino predetto del re e di suo figlio, porterà onore agli insegnamenti nei tempi degeneri. Saranno profondi e vasti nella portata, diffondendosi più lontano della luce del sole”. La sua collaborazione con Khyentse Wangpo e Kongtrül nella scoperta, decodifica e diffusione di questi terma è un esempio lampante dello spirito non-settario e collaborativo del movimento.

Altre figure chiave

Sebbene Jamyang Khyentse Wangpo, Jamgön Kongtrül e Chokgyur Lingpa siano le personalità centrali, il movimento Rimé e i suoi ideali furono sostenuti e anticipati da altri. Figure storiche come Shabkar Tsokdruk Rangdrol (1781–1851) e il Quinto Lelung Lobzang Trinle (1697–1740) sono citate come precursori che incarnarono forti ideali non settari. Anche all’interno della scuola Gelug, figure come il Terzo Tukwan Lobzang Chokyi Nyima (1737-1802) scrissero in difesa di altre tradizioni come la Nyingma. 

In tempi più recenti, Sua Santità il XIV Dalai Lama, il XVI Gyalwa Karmapa, Rangjung Rigpe Dorje, e l’ex Sakya Trizin sono stati eminenti promotori degli ideali Rimé. Anche il grande maestro Dilgo Khyentse Rinpoche (1910-1991) fu un instancabile custode dell’eredità di Jamyang Khyentse Wangpo e un faro del movimento nel XX secolo. Khentrul Rinpoce è un altro maestro contemporaneo riconosciuto dal Dalai Lama per il suo impegno verso questi ideali.

La forza trainante del Rimé non risiedeva solo nelle straordinarie capacità individuali dei suoi fondatori, ma nella loro profonda sinergia e nel rapporto di reciproco insegnamento e apprendimento. Questa interdipendenza tra figure di spicco provenienti da lignaggi diversi (Khyentse Wangpo era profondamente radicato nella tradizione Sakya, Kongtrül nelle tradizioni Nyingma e Kagyu, e Chokgyur Lingpa era un grande tertön Nyingma) non era solo una strategia, ma l’incarnazione stessa dei principi di rispetto e apprendimento trasversale. Inoltre, il movimento Rimé impiegò una duplice strategia per la preservazione del Dharma: la rivelazione di nuovi terma, che portavano una fresca energia spirituale adatta ai tempi, e la meticolosa compilazione, edizione e stampa di insegnamenti esistenti. Questo approccio bilanciato, che valorizzava sia la continuità della tradizione trasmessa oralmente e testualmente (kama) sia la sua vitalità costantemente rinnovata attraverso i tesori rivelati (terma), dimostra una comprensione sofisticata di come una tradizione spirituale possa mantenersi autentica e vibrante attraverso i secoli. L’impatto di questo lavoro di preservazione è stato immenso, specialmente per la sopravvivenza del Buddhismo tibetano in diaspora dopo il 1959; senza le monumentali raccolte dei maestri Rimé, molti lignaggi e insegnamenti sarebbero andati irrimediabilmente perduti. Il riconoscimento di figure contemporanee come promotori degli ideali Rimé e l’influenza del movimento sui lama che insegnano in Occidente dimostra che questo movimento non è un semplice capitolo della storia, ma un principio attivo e profondamente influente nel Buddhismo tibetano odierno.

Principi filosofici centrali 

L’approccio Rimé si basa su diversi principi filosofici fondamentali:

  1. Rispetto per tutte le tradizioni autentiche: tutte le scuole del Buddhismo tibetano, e per estensione tutti gli insegnamenti autentici del Buddha, sono considerati vie valide che conducono all’illuminazione. Queste diverse vie sono viste come espressioni della saggezza e della compassione del Buddha, adattate alle diverse capacità, inclinazioni e disposizioni karmiche dei praticanti. Come eloquentemente espresso anche da Sua Santità il Dalai Lama, come una medicina non può curare tutte le malattie, così un insieme di insegnamenti non può aiutare tutti gli esseri, sottolineando che la diversità dei metodi è una necessità funzionale.
  2. Non contraddizione intrinseca degli insegnamenti del Buddha: sebbene le presentazioni dottrinali e i metodi pratici possano variare considerevolmente tra le diverse scuole, e talvolta apparire superficialmente contraddittori, i maestri Rimé sostengono che, a un livello più profondo, essi condividono una visione ultima comune e non sono intrinsecamente in conflitto. Rongzom Pandita Chokyi Zangpo, un grande erudito Nyingma dell’XI secolo affermò che “Tutti gli insegnamenti del Buddha sono di un unico sapore; cercano la natura della talità (de bzhin nyid, sanscrito: tathatā) e finiscono con la natura della talità”.
  3. Importanza di una solida base nella propria tradizione: lungi dal promuovere un eclettismo superficiale o una confusione di pratiche, i maestri Rimé sottolinearono costantemente la necessità per i praticanti di essere ben radicati e profondamente formati all’interno del proprio lignaggio principale. Solo da una solida comprensione e padronanza della propria tradizione si può sviluppare un apprezzamento genuino e informato delle altre. 
  4. Distinzione tra dibattito filosofico costruttivo e settarismo denigratorio: il Buddhismo tibetano ha una lunga e ricca tradizione di dibattito filosofico rigoroso, considerato uno strumento essenziale per affinare la comprensione e dissipare i dubbi. Il Rimé non scoraggia tale dibattito, ma condanna fermamente l’atteggiamento settario che porta a denigrare o sminuire altri lignaggi autentici sulla base di un attaccamento esclusivista alla propria scuola.

Basi scritturali 

I fondatori del Rimé e i loro precursori attinsero a un vasto repertorio di fonti scritturali e insegnamenti di maestri del passato per sostenere la loro visione non settaria.

  • Insegnamenti diretti di Buddha Śākyamuni: il fondamento primario del non-settarismo risiede negli insegnamenti del Buddha stesso che proibì ai suoi discepoli di criticare gli insegnamenti e i maestri di altre religioni e culture. Un’affermazione spesso citata, attribuita ai sutra, è che “il settarismo è un male più grave dell’uccidere mille Buddha”, evidenziando la gravità con cui tale atteggiamento è considerato. Inoltre, la Scrittura dell’Incarnazione della Realizzazione di Tutti i Buddha (Sarvabuddha-viṣayāvatāra-jñānālokālaṃkāra-sūtra) ammonisce contro il rifiuto parziale del Dharma, ovvero considerare alcuni insegnamenti del Tathāgata come buoni e altri come cattivi, o il limitare certi insegnamenti solo a specifici gruppi di praticanti.
  • Commentari dei grandi maestri indiani: figure come Nāgārjuna e il suo commentatore Chandrakīrti sono centrali. Jamgön Kongtrül cita la difesa di Chandrakīrti di Nāgārjuna nel Madhyamakāvatāra, dove si argomenta che se, nello sforzo di comprendere la verità, si dissipano le incomprensioni di alcune persone e di conseguenza alcune filosofie (erronee) vengono danneggiate, ciò non deve essere considerato come una critica alle opinioni altrui in senso settario. Questo distingue il chiarimento filosofico dalla denigrazione faziosa.
  • Insegnamenti dei maestri tibetani precursori
  • Atiśa Dīpaṃkara Śrījñāna (982-1054): il grande maestro indiano che giocò un ruolo cruciale nella seconda diffusione del Buddhismo in Tibet, consigliò al suo principale discepolo Dromtönpa: “Drom, sebbene ci siano numerose tradizioni, sostieni la tua; non aggrapparti a una tradizione ma addestrati anche nelle altre; abbandona l’esagerazione e la denigrazione delle altre tradizioni; addestrati in tutte e integrale in una” (citato dal Libro dei Kadam).5
  • Shabkar Tsokdruk Rangdrol (1781-1851): Questo grande yogi e poeta, che praticò intensamente sia gli insegnamenti Gelug che Nyingma, scrisse: “Alcuni dei Santi hanno detto che Madhyamaka, Dzogchen e Mahāmudrā sono come zucchero, melassa e miele: ognuno buono come l’altro. Così, ho ascoltato e contemplato tutti gli insegnamenti senza parzialità settaria”.
  • Insegnamenti dei fondatori del Rimé
  • Jamgön Kongtrül Lodrö Thayé: Oltre alle citazioni già menzionate sulla necessità di una solida base nella propria tradizione e sulla non contraddizione degli insegnamenti del Buddha, Kongtrül sostenne che la natura ultima, la Mahāmudrā, è chiaramente insegnata in tutti i sutra e tantra. Egli citò il Prajñāpāramitā Sūtra per indicare che la dharmatā (la natura intrinseca dei fenomeni) trascende la comprensione concettuale, suggerendo che le dispute settarie basate su concetti limitati sono in definitiva futili. La sua sintesi fu: “Si devono vedere tutti gli insegnamenti come privi di contraddizione e considerare tutte le scritture come istruzioni. Questo farà seccare la radice del settarismo e del pregiudizio e darà una solida base negli insegnamenti del Buddha”.
  • Jamyang Khyentse Wangpo: Sebbene i frammenti disponibili non contengano molte citazioni dirette di Khyentse Wangpo sulla sua filosofia non settaria, la sua intera vita e la sua opera monumentale ne sono la più eloquente testimonianza. Il suo aver studiato con oltre 150 maestri di tutte le scuole, il suo aver ricevuto e trasmesso i lignaggi degli “Otto Grandi Carri della Pratica”, e la sua vasta produzione letteraria e di compilazione, che abbraccia l’intero spettro del Buddhismo Tibetano, incarnano pienamente i principi del Rimé. Le sue opere raccolte, il Kabum e il Kabab Dun, sono descritte come un riflesso dello “spirito Rimé non settario che egli incarnava” e della sua “imparzialità verso queste tradizioni e il suo profondo apprezzamento per le loro caratteristiche uniche”.

Il pensiero del XIV Dalai Lama 

Sua Santità il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, è uno dei più strenui e influenti promotori contemporanei degli ideali del movimento Rimé. La sua visione del non-settarismo non è solo una posizione filosofica, ma un principio guida per la pratica spirituale individuale, per l’armonia all’interno della comunità buddhista tibetana e per il dialogo interreligioso a livello globale.

Il Dalai Lama ha costantemente sottolineato l’importanza e la validità di tutte le principali scuole del Buddhismo tibetano: Nyingma, Kagyu, Sakya, Gelug e anche la tradizione Jonang, che ha ufficialmente riconosciuto come una delle principali sette nel 2011. Egli considera ciascuna di queste tradizioni come un sentiero completo e autentico verso l’illuminazione, adatto a diverse disposizioni e capacità dei praticanti. Nei suoi discorsi, ha spesso affermato: “Nel momento attuale è estremamente importante non avere visioni settarie divisive: deprecare altri lignaggi e pensare che il proprio sia l’unico valido. Tutti i grandi lignaggi del Buddhismo tibetano si impegnano sia nello studio sia nella pratica che conducono alla piena illuminazione. Tutti i lignaggi hanno grandi maestri tantrici”. E ancora: “È naturale provare orgoglio per il proprio lignaggio, ma non si dovrebbe dimenticare che tutti i lignaggi insegnano e praticano le parole del Buddha e aiutano innumerevoli esseri senzienti. Proprio come tutti i lignaggi studiano le parole del Buddha, tutti i lignaggi sono anche lignaggi di pratica. Dobbiamo tutti lavorare insieme e rispettarci a vicenda”.

Il Dalai Lama considera il settarismo un grave ostacolo alla pratica spirituale e una fonte di disarmonia. Lo ha descritto come “velenoso” e ha messo in guardia contro i suoi effetti dannosi. Insegna che “Essere di mentalità ristretta verso una scrittura o un lignaggio del Dharma a causa del bigottismo settario è trasformare una medicina salutare in veleno. Questo complesso di superiorità religiosa rende semplicemente sciocchi”. 

Seguendo l’esempio dei grandi maestri del passato, inclusi i fondatori del Rimé e figure come il Quinto Dalai Lama, Sua Santità incoraggia attivamente lo studio e la ricezione di insegnamenti da diverse tradizioni, pur mantenendo una pratica principale. Egli stesso ha ricevuto insegnamenti e iniziazioni da maestri di tutte le principali scuole. Ha affermato: “Storicamente è stata tradizione tra i maestri tibetani studiare e anche praticare tutti i lignaggi – Sakya, Kagyu, Gelug, Nyingma – e anche Jonang. Questo è un modello eccellente. Dovremmo adottare un approccio non settario, non solo studiando tutti questi lignaggi ma anche mettendo in pratica i loro insegnamenti”. Questa apertura, tuttavia, non implica una mescolanza indiscriminata delle pratiche. Il Dalai Lama, in linea con i principi Rimé, ha chiarito: “Noi stessi dovremmo tentare di seguire questo approccio eclettico che tanti maestri del passato hanno adottato. Ciò non significa che dovremmo mescolare le nostre pratiche e farne una grande zuppa. Piuttosto, dovremmo essere aperti a tutti gli insegnamenti come valide trasmissioni del pensiero degli Illuminati e come fonti di conoscenza che possono sostenere e rafforzare qualsiasi lignaggio specifico stiamo perseguendo”.

La forte posizione del Dalai Lama contro il culto della controversa deità Dorje Shugden è, in parte, motivata dalla sua profonda avversione al settarismo. Egli ha spiegato che una delle sue ragioni per abbandonare il culto di Shugden è che “gran parte dei miei sforzi sono diretti a promuovere il non-settarismo, specialmente all’interno del Buddhismo Tibetano”. Ha sottolineato che la tradizione dei devoti di Shugden, che richiede una stretta aderenza esclusiva alla tradizione Gelug, “priva le persone della libertà religiosa, impedendo loro di ricevere altri insegnamenti”. La sua aspirazione è vedere l’emergere di una tradizione buddhista tibetana in cui i membri di tutti i principali lignaggi coesistano in un genuino spirito di armonia e pluralismo.

La visione non settaria del Dalai Lama si estende oltre i confini del Buddhismo tibetano, abbracciando un profondo rispetto per tutte le tradizioni religiose del mondo. Nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel per la Pace nel 1989, ha dichiarato: “Credo che tutte le religioni perseguano gli stessi obiettivi, quello di coltivare la bontà umana e portare felicità a tutti gli esseri umani. Sebbene i mezzi possano apparire diversi, i fini sono gli stessi”. Egli è convinto che “ognuno può sviluppare un buon cuore e un senso di responsabilità universale con o senza religione”. Questo ideale di rispetto e comprensione reciproca è fondamentale per costruire un mondo più pacifico.

L’enfasi del Dalai Lama sul non-settarismo non è solo una questione di politica religiosa o di coesistenza pacifica; è profondamente radicata nella sua comprensione del Dharma. Egli vede l’apertura mentale, lo studio diligente e il rispetto per la diversità delle tradizioni come essenziali per la crescita spirituale individuale e per la vitalità collettiva del Buddhismo. La sua promozione degli ideali Rimé si configura quindi come una strategia cruciale per assicurare la resilienza, l’integrità e la rilevanza globale del Buddhismo tibetano nel XXI secolo e oltre. L’incoraggiamento a ricevere insegnamenti da maestri di diverse tradizioni, come egli stesso ha praticato per tutta la vita, riflette la convinzione che la saggezza non sia appannaggio esclusivo di una singola scuola, ma un patrimonio condiviso che può arricchire tutti i sentieri. Questa visione è particolarmente pertinente in un mondo sempre più interconnesso, dove il dialogo e la comprensione reciproca tra diverse culture e fedi sono più necessari che mai.

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